Il branco – Il branco (Autoproduzione)

Il branco sono parole sviscerate come gelati al sole che comprendono il senso del tempo e rincarano la dose con testi poetici di una poesia crepuscolare, ma rigettata, assorbita dall’asfalto e vagamente circolare che si staglia all’orizzonte, quello dei ricordi, dimenticando gli anni di gioventù e facendo capolino nei nostri ricordi, vagamente come stelle che in un solo boccone divorano l’intera umanità.

Un vinile favoloso, un progetto grafico che lo è altrettanto, curato da Sofia Bucci e che richiama i dischi di Antony, un disco dal sapore moderno, con quel look vintage che non abusa, ma che si fa veicolo di introspezioni sonore dal forte impatto emotivo lasciando alle spalle i dubbi e guadagnando sicure certezze.

Quattro pezzi soltanto che garantiscono un posto d’onore al gruppo romano, per capacità di sperimentazione, oltre il Vasco Brondi conosciuto e quella voglia di firmare sui muri dei bagni il proprio credo morale, con un indelebile che resterà a vita, con un vinile bello, spesso e ingombrante a sancire l’importanza della fisicità in un’epoca di digitalismi imperanti.

 

Colonnelli – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Resisto)

Grida di dolore laceranti materia grezza che scompongono lame ferrose e non lasciano traccia nemmeno questa volta, substrati di memoria che se ne vanno, componendo pezzi di abile fattura e intersecate dal mondo disilluso e vorace, capacità intrinseca di stabilire i confini nella medesima posizione e lasciar al tempo un domani migliore, pronto a stupirci ancora.

11 tracce di puro trash metal urlato, ma cantato in italiano, un gusto oscuro per una deliziosa pietanza che reprime gli istinti e lascia aperta la voragine della vita che risucchia l’anima e le nostre più recondite speranze.

Da Grosseto questi ragazzi spaccano di brutto, ne fanno sentire delle belle, sottolineando una prova dal sapore anni ’80, di forte impatto emotivo, emozionale, dove a raccontarsi sono queste canzoni fatte di morte, riscatto e vendetta.

Un trio spaziale che regala l’ultimo bacio prima di andarsene, regala quel copioso insieme di lacrime miste pioggia e fango, che non vogliamo nascondere, tra le grida di dolore e il buio che presto arriverà, ancora una volta, forse ora più che mai.

Armaud – How to erase a plot (Lady Sometimes Records)

Un mondo sott’acqua intriso di mistero, capacità onirica che si dissolve nella pioggia e crea un legame con il mondo in cui viviamo, scoprendo la parte più fragile di noi, introspezione sonora che è a capo di un concetto, il fotografare  il momento, quel momento che non tornerà.

Loro sono gli Armaud e il tutto ruota attorno alla voce leggera e sospesa di Paola Fecarotta, coadiuvata nell’impresa da Marco Bonini alla chitarra e drum machine e da Federico Leo alla batteria; una musica che proviene da lontano, che alle volte si scontra con gli scogli della vita e ci rende partecipi di un’immagine non precostituita, ma in continuo e perpetuo cambiamento.

A livello musicale la voce di Paola incrocia gli Amycanbe e i Portishead passando per musicalità nordiche che segnano i passi sulla neve, lasciano impronte indelebili e analizzano la possibilità di distendersi verso un dream pop d’oltreoceano che ricorda a tratti i Blonde Redhead.

11 canzoni di puro gusto malinconico ben riuscito, partendo con Him, passando per Spoiler e chiudendo il finale cosmico di May; un disco da assaporare nelle giornate torrenziali, dove i respiri condensano i vetri e dove gli attimi della nostra vita, possono fermarsi, ancora, per sempre.