Boskovic – A temporary Lapse of Heaven (Autoproduzione)

Luca Bonini stupisce per scelte stilistiche che ammiccano al passato, ma che fanno sfoggio di uno stile che prende il sopravvento nella ricerca di un’unicità uscita a dismisura lungo le tracce di questo nuovo e primo disco d’esordio A temporary Lapse of Heaven.

Un disco dall’immaginario vivace che rievoca in modo naturale i fasti e le bellezze degli anni ’60 approdando ai ’70 toccando Pink Floyd e Beatles influenzando il tutto con un tocco personale e deciso già nell’apertura affidata alla strumentale Just in Town che segna l’approdo lisergico e psichedelico di Shine on you crazy diamond e della discografia più recente di Gilmour, echi di Deep Purple e The Who per far quadrare il cerchio e non concedere nessuna distrazione all’ascoltatore.

Un album che sa di storia, dieci tracce che aprono la via al cantautorato più sentito e in un certo qual modo si differenziano per grande maestria nel comporre sezioni ritmiche e arrangiamenti che danno un senso di maturità e completezza al tutto.

Un mix voluto e studiato di passato e presente, una reazione ben più grande nei confronti della vita e un senso dato alla natura che ci attrae e allo stesso tempo ci comanda, disinibita madre di tutti noi in costante cambiamento, tra un rispetto non sempre avuto e un futuro che la vuole ancora protagonista; non un disco naturalista, ma un disco che vuole bene all’umanità e per l’umanità.

I Carnival – Se non mi tengo volo (La clinica dischi)

Atmosfere meno cupe ed energia accessibile  e fruibile ad un pubblico più vasto, questo è il nuovo marchio di fabbrica de I Carnival, band nata a La Spezia nel 2013 e che porta con se gli albori di un passato notevole, che li ha visti condividere palchi prestigiosi con Gualazzi, Capovilla ed Ex Otago fra gli altri e che in qualche modo questo rincorrere un sogno li ha spinti a cercare di definirsi prima per poi ritrovare, grazie alla musica, essenza vitale, un modo semplice e più vicino, quasi pop, di arrivare alle orecchie di un pubblico sempre più ampio.

Partendo da una matrice di puro stampo rock cantato in italiano i nostri si domandano l’essenza del volo, intesa come capacità di straniarsi dalla realtà, immedesimandosi in un qualcosa che si chiama vita e invitando tutti ad aprire il proprio cuore a fare esperienze per non morire di rimpianti, per non morire ancora una volta dopo giorni passati coinvolti e lacerati da una società che ci opprime, un disco che è anche spaccato di realtà, dove qualsiasi persona nel bene o nel male può riconoscersi e dove la neutralità non esiste, anzi esiste un forte di desiderio di schierarsi prima che sia troppo tardi.

Un disco eccentrico, dalle parole mai soppesate, schiette e dirette, un album che riconferma la bravura di questa band nell’intessere trame profonde, vivendo e sperando nel quotidiano divenire umano.

Oh Lazarus – Good Times (Off Label Records)

Il corvo colpisce con il becco la tomba di un passato che non c’è più e non si spaventa davanti a queste macabre danze che vanno oltre la concezione di gotico, ma si lasciano rapire dai suoni di matrice americana, immaginando un horror western d’annata, tra le nebbie de L’insaziabile e le sconfinate praterie attorniate da ostili rocce di Ritorno a Cold Mountain, per un disco che sa di un’altra epoca, un album oscuro, nero, nel senso più cupo del termine, dove tutto non è come sembra e dove i pericoli si celano dietro l’angolo.

Questo è un disco che esce dagli schemi e gli Oh Lazarus dal classico trio si moltiplicano e danno spazio alle collaborazioni più disparate con membri dei News for Lulu, Jack La Motta, Pocket Chestnut e Dead Shrimp; un aggrovigliarsi di strumenti impolverati dal tempo che ricreano un’era e lasciano convincere l’ascoltatore grazie alle capacità straordinarie del gruppo di fare dell’immedesimazione un punto di forza sui cui scommettere e su cui sperare per un futuro diverso.

Il clarinetto si innesta all’organo e poi via via le percussioni ricreate, la chitarra resofonica, il banjo, il pianoforte: un saloon di scheletri che danzano al ritmo di questa musica che risiede nel più profondo del nostro corpo e nasconde aspirazioni volute, ricercate e mai raggiunte, Edgar Allan Poe e il suo eterno malessere interiore, che incontra la raffinatezza di Antony e la sperimentazione di qualsivoglia grande della musica contemporanea, un disco da avere e da ascoltare.