Didie Caria – Primo Tempo (MeatBeat Records)

La voce importante, la voce come veicolo di emozioni, la voce che racconta un mondo fantastico e onirico, un mondo dove illusione e realtà si intersecano per creare e generare una fantasia immortale capace di suscitare nell’ascoltatore un universo nuovo dove gli strumenti musicali sono accantonati per immergersi totalmente in un quadro dipinto soltanto da parti vocali e dove i minimali tappeti sonori fanno da sfondo alla storia narrata, al vissuto e all’ispirazione, opere immortali che non passano inosservate: Il piccolo principe, Le città invisibili, Il deserto dei Tartari, L’antigone, Alla ricerca del tempo perduto, il Macbeth in un lungo crescendo di citazioni che abbracciano il teatro, il recitato, quello stare su di un palco e percepire l’odore delle tavole di legno e della polvere che si alza ad ogni nostro passo come in un’istante, come fosse musica quello che vediamo e che percepiamo, la decadenza dei colori e il trionfo della natura, gradazioni colpevoli di un nome da far rimanere nella storia, un’esigenza, questa, di far estrapolare il meglio dal nulla che avanza, in un’alternanza di R&B che colpisce per innovazione, sperimentando qualcosa di raramente ascoltato, maturo e pronto all’apoteosi finale, dove il cielo si fa più oscuro, i fulmini illuminano la notte e in un crescendo sensoriale vediamo la nostra barca, in un quadro di Magritte, lì persa nel mare burrascoso in cerca di un faro, in cerca di una nuova luce che insegni la via.

David Ragghianti – Portland (Caipira Records/Musica Distesa)

David Ragghianti è un cantautore disteso su di un prato notturno ad ascoltare le cicale e a guardare le lucciole addentrarsi nella notte più scura, aspettando l’alba, tra il crepuscolo che ci possiede e scompare vibrante lasciando spazio alla luce, al colore dominante, un ritornare all’essenza partendo dal giorno, l’inizio di tutto, l’inizio nostro che ci appare in una splendida visione giovanile.

Un disco di cantautorato puro, pochi se ne ascoltano ai giorni nostri, di matrice deandreiana, ma allo stesso tempo racchiuso da tesi post moderni che raccontano vie di fuga necessarie, quasi a raccogliere l’eredità di un tempo migliore e lasciarla li perduta a incanalare i semi più pregiati, per migliorarsi e per migliorare la nostra vita.

Portland è un disco sul ricordo, è un disco di racconti, cesellati dalla perfezione musicale di Giuliano Dottori che lo si vede alla produzione artistica e alla cura dei suoni con interventi di chitarre, pianoforte, mandolino, percussioni e batteria, a completare il tutto la presenza di Mattia Pittella, Nico Turner, Mauro Sansone e Neith Pincelli; un gruppo capace di creare piccoli capolavori d’arte senza mai osare troppo, arrangiamenti raffinati, concisi, abbandonando lo sfarzo di una belle époque e abbracciando la tradizione che vive nel contemporaneo.

I prati che cercavo riassume egregiamente il pensiero principale per poi spingerci in cerca di Amsterdam, Dove Conduci il movimento dei brani legati da un filo invisibile che li accomuna e poi via via la bellezza nel Tema del filo che ci accompagna a Pause estive e 300 anni, per concludere con gli applausi di Raffiche di fuga a raccontarci che forse domani ci sarà neve e ci saranno strade da sistemare, cose da riporre al proprio posto, persone da cambiare.

Ecco allora che il suono si fa ancora più accogliente, infantile racconto naif di un’epoca che fu lontana, tra il trascorrere delle giornate, giocando a palla, la semplicità della vita, quel campo lungo cinematografico su distese di prati infiniti.

Marijuanal – StonedPunk (Autoproduzione)

Vengono da Rovigo sono i Marijunal e a loro non frega un cazzo del giudizio della gente, esprimono con vivace sofferenza un’espressione di colore che portano dentro, un modo per concedersi e gridare al mondo i propri intenti, senza mezzi termini e mezze misure, una vorace distesa di intenzioni capaci di fagocitare in un solo attimo ansie e paure per portarci lontano.

Fedeli alla linea del punk sbandierano erba già nel loro nome anche se il risultato è assai diverso da Green Day e robaccia commerciale di basso livello, qui ci si mette il cuore e a IndiePerCui piace quando una cosa è eccezionalmente vissuta e immagazzinata tanto da entrare nell’antro dei ricordi migliori, i nostri Marijuanal  salgono di diritto sul podio delle migliori proposte di punk non solo nazionale, a fianco di nomi come Pennywise, Rise Against e Poison the well trasformando il punk rock in voga negli anni ’90 in un punk quasi estremo che incrocia hardcore e crossover per dare vita ad uno stonedpunk d’annata che affonda le proprie radici negli anni’80, per questo genere, i miracolosi anni ’80.

Le canzoni si lasciano affondare veloci e immediate, stupenda No pussies in the skatepark che troviamo nella chart della famosa label Epitaph per passare all’intro meditato di Alone e via via Brothers per finire con Double Drop; tra queste alcune canzoni trasmesse da radio brasiliane, argentine, californiane.

Un disco schietto, diretto e senza mezze misure, una rapida occhiata verso il sole che sorgerà e l’esigenza di mettersi davanti ed affrontare con piglio opportuno una nuova giornata, per abbattere la noia, per sperare ancora.