One eyed jack – Sea Plant Pollen (Gufo Records)

Post rock dalla provincia bresciana che si scontra e incontra tutto il rock del tardo ’90 caratterizzato da un post grunge essenziale e riscoperto, carico di significati e incanalato attraverso la polvere che si alza lasciando al passaggio solo uno strato tetro e spesso come un muro a far da spartiacque esistenziale a suoni granitici e compressi che appesantiscono la scena e tentano di cercare una nuova via per ridare speranza, ridare un senso al rock morto da decenni.

One eyed jack di ispirazione Lynchiana è il nome di questo trio che fa della potenza devastante una delle carte per giocarsi la sfida con un mondo musicale sempre più concorrenziale cercando sempre nuove aperture verso l’esterno  capaci di ridare nuova linfa e vigore, ottenebrando il passato e dando un senso alla formula power trio spesso uniformata.

Strutture prettamente pop che abbandonano però la concezione classica a cui siamo abituati per screpolarci al sole e raccontare di un disagio, di un male interiore che non lascia scampo e ossessivo tende ad aprirsi e logorare le strutture pre impostate che ci portiamo dentro.

Un disco ruvido e quasi oscuro, un disco fatto con passione e tagliente energia che cambia le carte in tavola e cerca di donare nuove speranze al genere, nuove attese forse e nuove domande sul futuro del rock oggi e di tutta la musica che ci attenderà da qui al futuro.

Opez – Dead Dance (Agogo Records)

Inoltrarsi in territori inesplorati, con stile e classe fondendo ritmiche e costanza d’intenti dove a prevalere sono i suoni puliti viscerali, riverberati e ondanti capaci di raccontare da soli il cammino, quel lungo incedere infinito del pistolero senza nome lungo il vecchio West tra l’emozione immaginata, tra il complesso ricreare sfondi di un giallo accecante dove il sole cola l’attenzione e si lascia andare nutrito da vibranti attese  e aspettative.

Gli Opez sono un duo costituito dai polistrumentisti Massimiliano Amadori e Francesco Tappi che con il loro Latin Desert & Funeral Party inglobano i campi lunghi del Leone d’annata con il più moderno Tarantino, un gioco di sguardi che si estrapola come fosse colonna sonora senza dimenticare il Badalamenti di Twin Peaks a segnare le desolazioni dell’anima, città abbandonate allo scorrere dei giorni intese come punto di non ritorno, un susseguirsi rapido di efficacia in note lasciate vibrare suadenti più che mai.

Un disco fatto di immagini quindi, 11 pezzi che aprono a territori lontani da Carlos Primero a Balera de mar, un album fatto di ombre oscure che ci attanagliano e sono pronte per l’ultimo saluto, ancora una volta, quelle ombre lunghe al calar della sera a ricordarci che siamo materia finita, polvere e calore, luce e oscurità.

Limone – Secondo Limone (Dischi Soviet Studio)

Testi stralunati con piglio deciso che si fanno strada nella giungla suburbana intascando un secondo disco più pungente, quasi aspro a raccontare del tempo in cui viviamo tra il nord est che non è più tale e un occhio attento all’Italia che sta cambiando.

Filippo Fantinato in arte Limone dopo il primo fortunato album Spazio tempo e Circostanze riprende la dimensione domestica dei live da salotto e incornicia una prova molto simile alla prima anche se qui il tutto è condito da un’amarezza di fondo, amarezza certo che si fa ironia, ma il nostro abbandona gli amori lontani per concentrarsi sulla società del consumo per evidenziarne difetti incontrollabili, ma verificabili.

Una manciata di minuti bastano per comprendere la caratura e la maturazione del nostro che dopo due anni si cimenta ancora con ossimori di grande impatto, tra Amanda Knox che trova un nuovo coinquilino, il gattino da salvare su Studio Aperto accompagnato da un’improbabile sonata di Einaudi, i mobili dell’Ikea le bombe di Bush e i cantautori moderni morti in Calabria addolcendo il sole.

Sfumature su sfumature, colore su colore questo album coccolato da un’elettronica che non manca mai apre nuove strade e la forte capacità espressiva del cantautore si trasforma per dare e creare un nuovo spazio ironico/intellettuale fatto da ognuno di Noi dove la raffinatezza è matrice principale del tutto e dove i pensieri, quelli veri, si possono leggere nascosti tra le righe lasciate in sospeso, quei testi strampalati dall’impronta naif che nascondono un mondo fatto questa volta da pennellate di colore in tre dimensioni capaci di farci vivere una realtà forse diversa, forse lontana, forse troppo amara, di certo vera e reale.

 

Bosco – Era (Autoproduzione)

Raccontare e raccontarsi, nudi allo specchio in un continuo nascondersi e celarsi attraverso i sogni che ci hanno costruiti, quei sogni che ci hanno fatto sperare di essere migliori, un continuo cercare il palazzo immaginario dalle enormi vetrate azzurre che in un attimo è pronto a crollare sopra di noi e sopra le nostre speranze.

I romani Bosco al loro esordio confezionano un disco fatto di sguardi alle finestre in una giornata di pioggia, una ragazza dai capelli lunghi che fissa il vuoto, là, oltra la brughiera, oltre il castello nel cielo, oltre l’immaginazione del tempo passato, un cercare luoghi migliori in cui stare grazie alla musica.

Una musica che fa ecco al pop sintetizzato dei primi Baustelle e notevole è l’avvicendarsi della voce maschile e femminile a rendere omogeneo quel tutto carico di significato profondo, quasi fosse una melodia proveniente da lontano dove le tastiere non predominano, ma fanno da sfondo autunnale al bel tempo che verrà.

Un album quindi fatto si sogni perduti e amori lasciati, dove il raccontare la vita di periferia è un modo raffinato e sincero per chiudere il proprio spirito dentro a un cuore solitario che si sta ancora cercando, remore del vuoto che gira attorno e dove il domandarsi è costrutto necessario per costruire e costruirsi.

Dieci canzoni che parlano di amori e di viaggi Me ne andrò a Berlino, perché così mi piace chiamarla, anche se il vero titolo è Il disertore, parte sulla scia dell’abbandono per concedersi poi aperture nel meraviglioso singolo La mia armata, via via Amòr e il Tempo per la dolce timidezza di Il susseguirsi degli eventi e poi ancora il viaggio, le vacanze estive con Malaga, passando per Se e finendo con l’ineluttabile Esedra.

Parlare di raffinatezza non è sempre facile ai giorni nostri, anche perché con i potenti mezzi che abbiamo per fare un buon disco ora più che mai contano le idee e l’idea di eleganza non strillata in questo album ricopre gran parte delle tracce e lascia quel senso di appartenenza simile a un ricordo lontano, a un’immagine di un tempo passato, dove le giornate duravano una vita.