Antonio Fiabane – Torna di moda il binocolo (Lavorare stanca)

Cantautore introspettivo che raccoglie l’eredità dei tempi per trasformarla in un campo di grano estivo da dove poter raccogliere le migliori spighe per rendere il raccolto un frutto da scoprire giorno dopo giorno in una malinconia che accenna ad aperture velatamente cantautorali di un tempo passato con contrapposizioni eleganti e soprattutto coraggiose.

Antonio Fiabane è un cantautore con la C maiuscola, uno che da senso alla parola, al substrato che essa contiene per consegnare agli ascoltatori una prova dove la voce, di un Gaetano Curreri malinconico, si scontra con la realtà moderna, creando un post cantautorato che si discosta notevolmente dalle proposte di queste annate; Antonio guarda più al passato che al futuro, questo continuando a mantenere un legame con ciò che lo circonda, essenziale per la sua poetica.

Proveniente da Belluno, il nostro non condivide soltanto, con la band per eccellenza della provincia i Non Voglio Che Clara, l’amore per il tempo che fu, ma il disco è co prodotto dallo stesso Fabio De Min esponente di spicco del gruppo.

Gli arrangiamenti sono delicati, quasi in secondo piano e lasciano una visione d’insieme che lascia trasportare il suono lontano e in primo piano una voce personalissima e penetrante, esigenza e caratteristica essenziale per l’attesa che avanza fino al gran finale.

Torna di moda il binocolo è un disco che ci permette di vedere con altri occhi ciò che è lontano, è tanta sostanza, è un amarcord perpetuo, una fotografia di quelle a grana grossa, pastose, di un bianco e nero oltre l’apparenza e il cliché, oltra la moda: una nostalgia per i tempi migliori che non torneranno più.

Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica

Attribution – Why Not (Autoproduzione)

Trio immediato, sfrontato e lisergico quanto basta per riportare alla ribalta un genere che trova poco spazio, affondando le radici niente meno che nella psichedelia anni’70 e integrando il tutto da sferzate di blues, un po’ di prog rock e la ricerca inevitabile verso il rock d’oltreoceano che ribalta le consuetudini e ridona vigore e speranza ad un sapere che si tramanda per decenni.

Gli Attribution vengono da Bergamo e costruiscono attorno a loro un mondo fatto di acidità ridondante, di chitarre alla Jack White soprattutto in Woman che affrontano il blues per rigettarlo a noi ascoltatori in modo diretto e quasi evocativo, un disco che ci accompagna nella scoperta di nuovi orizzonti pronti ad esplodere.

Sono dieci pezzi in tutto, dieci pezzi accompagnati da una voce che rende l’idea dei bassi fondi da dove il tutto parte e che poi inesorabilmente si ritrova a fare i conti con la capacità da grande palcoscenico, cornice perfetta per l’ascolto e per l’apertura di gruppi che hanno fatto la storia come Billy Cobham, Kee Marcello e i più giovani Bud Spencer Blues Explosion.

Proprio di esplosioni parliamo quindi, esplosioni che si intersecano e si fanno portatrici di un suono divincolato e sopraffino, perfetto e pronto a generare alchimia leggendaria, quella che resta, con piglio provocatorio, con fare disinvolto, con quella capacità di essere unici, mantenendo una forte componente di originalità e attesa, improvvisazione jazz e mondi da scoprire, caratteristiche tipiche di chi la musica la vive dentro di sé senza chiedersi nulla.

I traditori – Novità (Soundido Productions)

Scanzonati sti traditori alla faccia del buongusto e dell’immediatezza, sospirata cullata e rappresa, simbolo di un’estate che ride in faccia alla vita, che si fa un baffo del bon ton per creare melodie serrate, costruite e snocciolate con facilità continua, elargita e simil stereotipata, quasi naif.

La novità porta novità, io direi anche che porta genuinità, non tanto nel cibo italico decantato, ma sovrastando con chitarre dirette parole che si fanno a rotolo un libro aperto, pronto per essere studiato e ricondotto al principio della semplicità.

Un pop efficace quindi, senza chiedersi troppo, i traditori lo fanno bene, lo fanno senza strafare, lo fanno un po’punk e un po’ elettro con tastierine anni ’80 e bellezza che risplende nella luce di un buio lontano.

6 canzoni in bilico tra full ed ep, musica per questa estate, sulla spiaggia, lontano dalle gente meno importante, lontano dall’Italia, in un Paese straniero, dove si parla un’altra lingua, dove almeno qualcosa è diverso e tu non la capisci o fai finta di non capire, ti lasci trasportare da queste piccole perle coltivate e del resto, appunto, non te ne può fregar di meno.

Gianluca Secco – Immobile (BProduzioni)

Una voce in primo piano che si divincola, scalda, si prende cura, ti fa compiere vorticose planate nel cielo fino a rendere la timbrica malleabile per future aspirazioni, coinvolgendo, rischiando, vivendo.

Un viaggio dentro la voce, arti immobili, che non lasciano scampo, lasciano trapelare da quella follia esistenziale un concentrato di sostanze che guardano ad una città in decomposizione, distrutta e poi una luce ammaliante che colpisce e ci rende partecipi del dopo catastrofe, del rinnovamento, del ritorno il tutto amalgamato da sovraincisioni passeggere.

Un disco dal sapore teatrale che si racconta, una spiegazione continua di note e testi che non lasciano nulla al caso, ma si fanno portatori di valori dimenticati; un Lato A e un Lato B specchio repentino del cambiamento che ci riporta ad un vinile d’altri tempi, alla suggestione, al contatto dei corpi, alla parte lesa che ritorna ad essere nuova vita.

Titoli assai diretti Grido, Fame, Voce, Vertigine, Lento, Sapone; la calma, la quiete contrapposta all’errare nudi in un triste cammino, carichi di rabbia, ma carichi anche di speranza, laggiù oltre l’orizzonte.

Silenzio & Sexy – Gentile Sempre (BProduzioni)

Una ventata di freschezza nelle produzioni italiche che certo non guasta per capacità espressiva, buon gusto e finalità ottenute innescando una formula semplice e poco usata dai musicisti, un gruppo che va diritto al succo del discorso senza strafare, senza comporre arrangiamenti memorabili, ma riflettendo un’esigenza di lasciare i pezzi sorretti da un’impalcatura a tratti scarna che regge comunque una qualità di fondo da far invidia a gran parte delle uscite discografiche odierne.

Il packaging è alquanto strano e la grafica non rispecchia molto l’immagine che mi sono fatto del disco, ma questo poco importa per IndiePerCui, in quanto mi trovo difronte ad un concentrato di canzoni ben riuscite che non sfigurano, anzi, si concedono il lusso di andare oltre la poesia, in un immaginario che ci coinvolge e ci racconta le piccole difficoltà di ogni giorno, con una velata ironia; improbabile capacità, che con il trio in questione riesce ad esplodere e a colorare le grigie giornate quotidiane.

Un disco di indie pop prettamente acustico con sferzate di elettrica energia che innesca dentro all’ascoltatore un bisogno da colmare; canzoni come Panico, Signor Pianeta, Psicopatico, passando per Suora Zen e Ad esempio sono il risultato di una scelta multiforme e variegata che mescola in modo egregio il cantautorato agli ukuleli, le macchine da scrivere ai mixer del passato dando tono e carattere a una composizione che di per sé risulta alquanto gradevole.

Menzione speciale ai capolavori sonori  Trasparente e Autobus 37, quest’ultima scritta alle 7 del mattino in onore di Agide Melloni che guidò l’autobus durante la strage di Bologna per 15 ore di fila nel tragitto stazione/ospedale per portare in salvo i feriti.

Un disco dal notevole impatto, canzoni che ti entrano e non ti lasciano andare via, si annidano sotto la pelle e ti entrano nel sangue, fanno parte di te e tu di loro: una giostra dai colori vintage che non smette di girare.