Damien Rice – 30/07/15 Villafranca (VR) – Live Report

UN PALCO VUOTO E LA TESTA PIENA DI STELLE

Il Castello Scaligero di Villafranca dal 1200 segna il tempo sugli abitanti del veronese, rendendolo location affascinante per qualsivoglia concerto di musica internazionale e non, a ristabilire il contatto tra passato e futuro, in un’immacolata concezione di stabilità e gusto, un sussurro di maestosità e grazia, pronta ad ospitare quello che è considerato il cantastorie più emozionale dell’epoca musicale contemporanea.

Damien Rice non è una creatura sovrannaturale è una persona qualunque che sale su di un palco e canta l’amore, quegli amori relegati all’angolo di una strada buia e plumbea, quegli amori di terre verdi e trasparenti dove guardare l’infinito sulle scogliere e non chiedere nulla al futuro, sostanza e introspezione, il tono dimesso da menestrello vissuto con gli occhi di chi sa regalare emozioni ascolto dopo ascolto in un interesse collettivo che si fa applauso senza mezzi termini, uno scrosciare disteso di mani a cercare altre mani, lì, tra il cambiamento e un’acusticità imprevedibile, spoglia, nuda e cruda, dove i suoni sono sempre in funzione del racconto, suoni stabili, leggeri che hanno il colore dell’oro, un vortice continuo di intenzioni non troppo lineari a fare da sfondo al mondo che ci circonda.

Damien canta canzoni in cui ci rispecchiamo, canta la giovinezza che fa parte di noi, canta del passaggio della marea e di quell’acqua che cancella il passato, cancella ogni qualsivoglia forma di finzione per renderci naturali, come foglie di albero maestoso pronte a rinascere con la nuova stagione.

La naturalità negli intenti si evince sul palco come nella vita, definito incoerente io aggiusterei il tiro con reale, una persona fuori dal coro che fa parte di ognuno uno di noi, quel Damien che tanti anni fa partiva da Dublino con una Mini per vedere il suo gruppo preferito, i Radiohead, 11 giorni di viaggio imponendosi di scrivere una canzone al giorno per poi tornare e aprire i concerti di Cohen, un Damien pauroso della vita, ma che la affronta con noncuranza, la sfida e ne esce vincitore.

Damien su quel palco il 30 Luglio ci è salito e ha raccontato la sua storia, a tratti, soprattutto nella prima parte del concerto un po’ freddo, relegato al suo mondo intriso di misticità e in grado di comunicare non sempre alla perfezione, poi grazie alla loop station e a improvvisazioni sonore ha trasformato la sua chitarra acustica in qualcosa di elettrico e distorto, mandato in progressione artificiale, rendendola partecipe di qualcosa di più grande.

Suoni non sempre calibrati rendono l’ascolto a tratti troppo distorto, soprattutto nelle retrovie, anche se il risultato complessivo è buono, grazie alla capacità del menestrello di stare sul palco e di intrattenere il pubblico ironicamente.

A parte la nota stonata di una Britney Spears di turno chiamata sul palco da Damien per cantare Volcano le perle scorrono ininterrottamente e si lasciano ammirare Delicate in apertura così dal nulla, Coconut skins, Woman like a man, l’harmonium di Long long way, la sempre affascinante Amie fino alla bellissima My favourite faded fantasy dell’ultima fatica, toccando la bellezza in The great bastard e lasciarsi andare alla perfezione in moto perpetuo di It takes a lot to know a man.

Bis affidati a Cannonball, Nine Crimes e nel finale tutti sotto al palco a rendere omaggio con Blower’s daughter, diventata ormai classico senza tempo.

Niente foto per questo live report, ne circolano ben troppe in rete, voglio ricordarlo così, un palco vuoto e la testa piena di stelle, l’esigenza iniziale di spegnere i telefonini, gustarsi lo spettacolo, cosa che in gran parte il pubblico educato ha fatto, nel rispetto della bellezza sfiorata; un palco vuoto e lui forse dopo poche ore fuori, con il pubblico, in un aftershow ancora più emozionante, un cantautore plasmato non per le masse, ma solo per chi sa riconoscere al primo sguardo chi trasmette ciò che la stragrande maggioranza degli artisti odierni sa solo immaginare.

Marco Zordan – IndiePerCui

SetList

  1. Delicate
  2. Coconut skins
  3. Woman like a man
  4. The box
  5. Long long way
  6. Volcano
  7. Amie
  8. MFFF
  9. Elephant
  10. I remember
  11. The greatest bastard
  12. The professor e la fille danse
  13. It takes a lot to know a man

Encore

Cannonball / Nine crimes / The blower’s daughter

3CheVedonoIlRe – Un uomo perbene (La Zona/La Grande Onda)

Secondo disco in studio per il quartetto romano che per l’occasione si concentra sull’analisi sistematica e migliorativa della società dal punto di vista del comportamento e dell’appartenenza ad un gruppo che nel bene o nel male stabilisce l’impegno e le forze da dedicare al nuovo che avanza.

Un disco di pop rock ben suonato direi dove a far parlare di se sono i testi diretti in italiano che ci raccontano e si lasciano raccontare non verso fini sconclusionati, ma alla ricerca costante di un approccio chiaro e netto che si fa distinzione assoluta nei confronti del pop  italico in circolazione.

Responsabilità individuale quindi che si fa forza dominante e allo stesso tempo racchiude la volontà di cambiare sottolineando in modo inequivocabile che ad ogni nostra azione corrisponde una contropartita che il più delle volte passa in secondo piano, in sordina; un muto declino verso l’inesorabile abisso.

Il gruppo romano racconta di un’Italia che non conosce più la parola collettività, racconta della caduta, racconta degli sguardi pronti a virare dall’altra parte, racconta di quel precario equilibrio su cui si basano i rapporti umani, una finalità sentita e vissuta, con l’intento di far rinascere l’uomo responsabile di una terra che appartiene a tutti.

Potenza rock quindi, condita dal pop e attitudine punk che nei live trova una dimensione ancor più dirompente; dieci tracce partendo con la storia di Dario, per finire con Lascia andare, tra incursioni sonore che si fanno ricordare e testi taglienti che lasciano il segno.

GattuZan – Dolcevita! (Astio Collettivo/Phonika/JapPeru)

Ascoltare un disco di questo livello nel 2015 fa solo che gridare al miracolo, una prova osata e ricercata, un insieme di canzoni, ben 32 per un doppio, che non stanca, ma che ti fa entrare in mondo capace di comprendere il substrato che ci appartiene, il posto da cui veniamo, conforto quotidiano e miscelato a dover in una formula bizzarra, ma che acquista veridicità nei continui ascolti, un loop emotivo capace di distogliere gli sguardi verso ciò che più non ci appartiene per concentrarsi nell’essenza stessa del vivere, facendo della sperimentazione una base di appoggio per partire, scoprire, crescere e trasformarsi in qualcosa di diverso; mutevole anfratto negli abissi,  che cambia con il passare delle stagioni.

Loro sono i GattuZan e nonostante la freschezza del progetto i nostri sono stati i vincitori dell’Arezzo Wave Live Band del 2015 e band italiana all’EUROPAVOX, un concentrato di energia pura che si sprigiona in modo esponenziale sul palco, luogo di risalto e portante per una band in continuo divenire come questa.

I GattuZan mescolano in modo perfetto elettricità del rock, alla forza dell’improvvisazione sporca e ruvida del punk, senza tralasciare la componente caraibica e acustica, un accostamento agli MGMT che per coraggio non sfigurerebbe.

I sei umbri però hanno molta sostanza e molte capacità da sfruttare, portano i colori nelle tasche e riescono a capire quale gradazione dare al nuovo giorno che verrà, si concentrano sugli elementi e si lasciano trasportare dalla forza prorompente di un’onda che è simbolo di vita.

Due dischi quindi Roog Garden e Hollanguilakillah per una band che conosce la strada da seguire, senza se e senza ma, sentiremo ancora parlare di loro perché questo Dolcevita! è qualcosa che lascia il segno: sicuramente uno degli album più esplosivi dell’anno.

 

Circolo dell’ozio Cabalistico – Ronda Notturna/Giuditta (Autoproduzione)

Passi nella nebbia e inquietudine, sogni rivelati e passaggi nell’aldilà che rinchiudono la grazia di rumori soffocanti che si fanno portatori di una voce narrante e fertile, capace di penetrare e lasciare dimora e conforto, raccontando la natura, le forze sovraumane che non sono in grado di trovare una direzione, ma centrano il fondo, si intersecano e fanno si che il mondo continui ad una crescita esponenziale, dove la natura madre e matrigna si lascia a se gli occhi e le gocce di un presente ormai lontano.

Come in un film di Lynch, discostante presenza onirica, i suoni si fanno elettronici e rarefatti, quasi a volersi raccontare, quasi a chiedere il senso di una vita in decomposizione, una musica fluttuante negli abissi, pronta ad esplodere in narrazioni palpabili e presenti, un disco arcano concepito in 2 notti e 2 giorni proprio per non interrompere il flusso, quella continua e presente unione tra forze oscure e musica d’altri tempi.

Un incrocio tra Offlaga e Massimo Volume, narrazioni e canzoni che incontrano i vicentini Nova sui prati notturni e si immedesimano in sonorità post CSI.

Si perché se penso ad una vera e propria reunion dei CSI, ascoltando i COC, posso solo pensare che i possibili veri eredi sono loro e non quella brutta copia del passato portata nei festival da Baraldi, Canali e soci, qui la musica prende il sopravvento in un’evoluzione continua, l’elettronica che segna il futuro per un mondo che non basta mai e quella piccola poesia di luci spezzate, ombre che avanzano e tiepida inquietudine che si trasforma in calore famigliare.

Turi Mangano Orchestra – Naturale Ep (Autoproduzione)

Rarefazione in continua attrazione crepuscolare con il gioco d’ombre che si crea quando cala il sipario sulla scena dimessa e compiuta su quel poco di umanità che ci resta, in grado di mantenere un’atmosfera velate di introspezione e capacità degne di un songwriting maturo, analizzato e inglobato in territori sempre più portatori di nuove speranze per la musica d’autore.

Si gioca con le parole, si gioca occupando il tempo, osservando le nuvole in cielo, il grande zoo della vita che prende le sembianze di animali estinti a loro volta in via di estinzione, i Turi Mangano Orchestra sono poesia viscerale che cammina, è il racconto di un momento lasciato convivere con il vento del cambiamento, che parla di noi in L’assenza, nei sogni di chi ormai non c’è più e poi l’omaggio a Lou Reed, un cut-up di venticinque canzoni in un effetto terra-luna da rimanere incantati.

Si passa poi al cambiamento di Il Geco e ancora al movimento di Carovane, il tema della strada e della natura che qui si affaccia con tutta la propria preponderanza, sottolineandolo ancora in Pesci e lasciando il finale alla malinconia di Irene, l’adolescenza che vola via a ricreare quel cerchio di nuvole che si scorge nella title track iniziale.

Un disco ricco di capacità espressiva, corollata dal bisogno di innalzare ad arte un concetto, una frase, uno stupore, proprio quello che leggiamo negli occhi di chi guarda, ancora una volta, una giornata di sole; come bambini in riva al mare in attesa della prossima onda.

Malamadre – Malamadre (BProduzioni)

Il mondo a fumetti approda nella musica e ci regala uno strampalato affresco veritiero di una società stagnante pronta ad essere inghiottita e fagocitata da qualsivoglia schema privo di ordine, capace di relegare il passato a mero ricordo e di costruire nuove forme di comunicazione e sensazionale visionarietà.

Malamadre è un collettivo di artisti polivalenti che si mette in gioco per raccontare, per estrapolare vissuti e onirici e in qualche modo dare un senso a ciò che li circonda, con cantato in italiano e vissuti che si innestano alla goliardia dei momenti felici, un progetto che sa di nuovo, ben strutturato e congegnato per l’occasione.

11 pezzi tra cui spiccano Chi non muore si  risiede, La canzone della luna e La regina che non dorme senza dimenticare Il tango delle portiere, singolo che ha ricevuto un successo di critica al Roma Web Fest ricevendo il Premio Speciale Club Tenco e Olio vincitrice di altri riconoscimenti non meno importanti.

Un gruppo quindi in divenire che non si accontenta di fare poesia ammaliante su carta, ma suona come un vero e proprio diario aperto dove il tempo scorre inesorabile e quegli attimi di luce lontana, sembrano i riflessi di un giorno che mai verrà, un raccontare quindi il presente con ironia senza tralasciare il significato insito nelle loro canzoni.

Tre cover diverse disegnate per l’occasione per un rock elettro acustico condito da sprazzi di vera e propria originalità che ammorbidisce i giorni e consegna nuova speranza.

UT – Noise Deadening Barrier (MarsigliaRecords)

ut

Noise in putiferio che elargisce la giusta dose di inquietudine per abbattersi su di un muro di chitarre a tratti fragorose, a tratti meditative che sferzano elettricità senza chiedersi troppo e incrociando la furia dei FASK e Three Second Kiss, portando l’immediatezza in territori aspri e taglienti.

Il power trio genovese raccoglie ciò che di meglio la propria terra ha da offrire coltivando un genere che affonda le proprie radici nel post punk e nell’alternative molto lontano dalla scena mainstream, molto lontano dalla scena pop, in un vortice di incontro e scontro con le correnti oltre oceaniche, creando ponti sopra l’atlantico e atterrando con suoni ruvidi e riconoscibili.

Un disco che si fa portatore di un suono di nicchia, ma allo stesso tempo accompagnato da incedere di protesta, un mix geniale e congeniale capace di entrare in profondità e strappare gli ultimi fili d’erba alla terra, gettarla al suolo e lasciarla lì in un vuoto cosmico e siderale in un vuoto che deve essere riempito.

Ecco allora che le dieci canzoni del disco hanno proprio questo compito, quello di concedersi e riuscire nell’intento di dare personalità ad un genere, rispolverando al meglio le armi per distruggere il sistema, come scheggia che si conficca fino in fondo, come orizzonte nuovo carico di buone aspettative.

Lo Spinoso – La mia nuova vita leggera (Autoproduzione)

Lo Spinoso è quel timido riflesso di luce nascosto dietro la copertina del disco, è introspezione degna della terra d’Albione, è Nick Drake che canta in italiano e che ci consegna una prova meditata e arpeggiata, dove non è stata usata nessuna distorsione e dove i puliti dell’elettrica e dell’acustica si fanno interessante avvicendamento per un nuovo corso di cantautorato che unisce la tecnica alla poesia.

Dimentichiamoci i testi non sense che accostano parole strampalate, il nostro in questa occasione si regala una vita si più leggera, ma anche carica di attese, capace di conferire alle nuvole un tocco di veridicità e dove la pioggia scesa dal cielo è pronta ad incanalarsi e offrire all’ascoltatore attimi di vita vissuta, concitata e profonda.

Uno stile, il suo, inconfondibile, che si esprime in tutto il suo splendore, Fermi come noi passando per la meraviglia di Piovono bugie confessandosi in Il mio recinto e creando un appeal con chi ascolta in canzoni come Statue di polvere e firmando la decadenza in Armature.

Noi così distratti da non capire al primo ascolto, ci avviciniamo alla bellezza di questo cantautore con sguardo attento e forte capacità di apprendere, tra fingerstyle d’alta quota e parole soppesate e digerite, che raccontano di una vita, la nostra, che deve venire sempre a patto con qualcosa, fino alla fine dei giorni, in un vortice continuo, che Tiziano Russo, in arte Lo Spinoso, ha contribuito a ricreare.

Syne – Croma (Autoproduzione)

Rock elettronico che si stende nella sostanza e nel cambiamento lasciando costruire castelli fluttuanti nell’aria, intrappolando magicamente la fantasia delle sonorità anni ’80 per trasportarle direttamente ai giorni nostri, come i Bluvertigo ridefiniti, a cui è riassegnato un nuovo nome, una nuova possibilità di dare maggior sfogo alla propria creatività, passando dagli abissi al già conosciuto, non abusando dei synth, ma utilizzandoli con intelligenza, tanta capacità e tecnica, padroneggiando gli strumenti e segnando una via da seguire.

Testi che brutalmente si affacciano alla realtà, testi che parlano di dubbi esistenziali e si chiedono, si domandano, vogliono sapere, conoscere e andare oltre, cinque pezzi in italiano e cinque in inglese, una scelta azzardata, un disco dove l’osare non è solo parola, ma vera e propria messa in scena di un mondo, il nostro, che cerca ogni giorno di non annegare.

Syne rifondano il rock elettronico, lo fanno grazie a queste nove canzoni che ci raccontano e si raccontano, le sbilenche geometrie diventano tanta sostanza partendo da VerdeMente finendo con Yellow, un vortice emozionale intrepido che scarica al suolo l’elettricità per consegnarci una prova che non rimane nel sottofondo della nostra mente, ma che piano piano riaffiora quasi fosse un ricordo ora vivo più che mai.

Giovani e con grandi capacità al seguito i nostri hanno raccolto una pesante eredità e rilanciato un genere che in Italia era caduto in disuso, garantendosi una posto tra le migliori uscite discografiche di quest’anno.

 

Alberto Gesù – Ma che miracolo e miracolo (Lavorare Stanca)

Ironico, tagliente e pungente, vita quotidiana sradicata al suolo e condita da un passaggio autorevole verso la verità che va presa scherzando, ridendo, ironia fatta vita e vita fatta ironia, questo è il disco di Albero Gesù che si inoltra in territori già battuti, ma allo stesso tempo si concede aritmetiche canzoni sghembe dagli arrangiamenti inusuali e ben definiti, essi stessi sinonimo del tempo che sta cambiando e a pelle si insinuano piano piano fino ad addentrarsi per non fuggire più.

12 pezzi con la presenza di Fabio De Min dei Non Voglio che Clara, canzoni che escono allo scoperto raccontando di un mondo che deva alzarsi, che deve svegliarsi, che deve incontrare quel briciolo di umanità perduta nei meandri della superficialità, dove le vittime siamo noi stessi, incapaci di scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Alberto Gesù ci aiuta in tutto questo e lo fa con tono provocatorio alzando il tiro e inglobando una chiara e netta distinzione che deve essere e si fa al tempo stesso spartiacque per una vita migliore.

Strumenti inusuali e synth elettronici si amalgamano egregiamente con un risultato piacevole e ricco di gusto, un andare oltre alla formula canzone, riassumendo un concetto e ottenendo capacità intrinseche da primo della classe, in una formula mai scontata e che regala emozioni ad ogni ascolto.