The moon train stop – The moon train stop (Autoproduzione)

Una ricerca sperimentale in rock che va oltre la ricerca, così possiamo definire il primo ep dei The moon train stop, band insediata tra Cuneo e Torino che grazie ad uno stile del tutto personale riesce a dare un senso ad un progetto nuovo e ricercato, capace di dare ossigeno e ampio respiro ad un genere che negli ultimi anni vede un appiattimento generale.

Il trio piemontese incasella una prova non immediata, non con pop da classifica, ma si ferma, osserva il mondo circostante e regala attimi di luce propria nel buio, nell’oscurità, dove l’alternative si fonde con la capacità espressiva di chi ha ancora qualcosa da dire, da chi si contorce, da chi si fa suono mutevole e cangiante.

Ecco allora che il tutto si fa arte partendo dalla cover del disco, un dipinto del pittore Veliscek, che segnala un’inquietudine di fondo, una paura intrinseca nell’affrontare  la morte, la vecchiaia che avanza, l’essere soli contro il mondo.

I nostri trovano una strada per affrontare tutto questo, si concedono lungo i quattro brani trasformando le pennellate di colore in naturale eleganza composita, capace di penetrare nella tela della vita ancora una volta.

Statale 35 – ES (Autoproduzione)

Un concentrato di rock alternativo targato ’90 si staglia sull’orizzonte della Statale 35, posto dove il tutto si può trasformare in possibilità o annichilimento, in capacità espressiva o pura e semplice apatia verso un grigiore sostanziale di fondo che non da tregua, che non concede un attimo di respiro, che non lascia la parte migliore di noi ad un nuovo e nutriente respiro, prima incatenato, ora libero.

Gli Statale 35 confezionano un Ep di storie, 5 canzoni che si dipanano egregiamente tra Marlene Kuntz del loro periodo centrale, passando per Afterhours e un cantato Verdeniano che sale sale su fino a comprimersi, contorcersi e vivere in un’estasi di affronto, alla nostra natura in lotta con le difficoltà quotidiane.

Un disco ben suonato e un gran bel biglietto da visita che guarda l’oltreoceano e l’oltremanica per un suono di Pixies e primi Radiohead, quelli di Pablo Honey per intenderci, che si fanno portavoce di un disagio nel vivere e nel poter costruire un qualcosa che forse non vedrà mai la luce.

Soltanto un gesto e niente più, una manciata di canzoni che si fanno ascoltare, tra architetture lisergiche e gusto sopraffino.