Sofia Brunetta – Former (Piccola Bottega Popolare)

Incursioni soul influenzate da un pop internazionale che scalda le valvole di una musica oltre confine. oltre le barriere a cui siamo abituati, regalando ritmo e decisione, grande caparbietà e precisione nel ricreare e soprattutto nel dare speranze ed emozioni, innovazione sonora quindi, in Italia, per un’originalità indipendente che con difficoltà si può replicare.

Sofia Brunetta parte per un viaggio, quei viaggi che forse ti cambiano la vita, ci mette passione in questo viaggio, ci mette tutta se stessa, un viaggio dove l’onirico si immola ad incontrare il reale, riscoprendo il gusto per il vintage e per il caldo abbraccio di suoni che a fatica possiamo ancora ascoltare.

Il Nord America, il Canada e la natura incontaminata, sento tanta natura in questo disco, un essere tutt’uno con le radici della nostra coscienza che si divincolano e trovano nell’espressione interna la parte più geniale del se e poi il ritorno in un paese diverso, ma sempre pronto ad accoglierla per riversare le fantasie di una donna in un disco che brilla di luce propria.

Ecco allora che come farfalla la nostra esce allo scoperto, e con precisione regala ad ognuno di noi una parte di se stessa, quella parte custodita gelosamente, che pian piano si lascia sciogliere per raccontare un bisogno di essere diversi tra Low e Black Little Star, piccoli paesaggi sonori in bilico tra una poetica d’autunno e uno stato di grazia difficilmente replicabile.

D’Iuorno – Diversamente Capace (Controrecords)

Alessandro D’Iuorno inscatola momenti di elettricità in suite acustiche dall’ineluttabile candore che raccontano e si raccontano in un passare eterno che concede spazi di intima voracità a concludere per un momento un percorso iniziato con il precedente album Ho capito abbastanza per infrangere modelli di vita e stanziarsi come cantautore di animi diversamente capaci di capire, diversamente capaci di intendere e soprattutto di essere intesi.

Prodotto da Giorgio Canali, che in questo disco suona anche le parti di chitarra e armoniche, il nostro allunga il pensiero ad un cosciente viaggio verso la disillusione, una voce che con rabbia e introspezione ci accompagna lungo un destino fatto non proprio di speranza, ma ci schiaffa davanti una realtà, fotografandola e rendendola reale più che mai, facendola uscire dalle vene, trasformandola in un qualcosa di cangiante e allo stesso tempo inamovibile, frutto di quel qualcosa che il progresso non è riuscito a spiegare.

Ecco allora che la solitudine umana è raccontata con classe cantautorale, fino al trionfo del nulla e fino alla riappacificazione con se stessi, un lottare silenzioso che sembra non aver timone, una barca nell’oceano che manda segnali d’aiuto.

Il viaggio parte con Senza strategie per finire con La mia città, parlando di sé e del mondo attorno, un sogno ad occhi aperti che porta la realtà dentro casa, senza finzione e incanto, un sogno vero e reale che si fa portavoce per tutti coloro che desiderano vivere in un qualcosa di più tangibile, onesto e reale, un’utopia leggendaria tra gli anfratti profondi della coscienza.

Silvia & The fishes on Friday – Under Water (Sign-pole Records)

Raccontare con velata introspezione un paesaggio dai colori acquarello, dalle tinte rimesse a nuovo in una stanza priva di finestre a narrare un viaggio, il viaggio di Silvia & The fishes on Friday verso mondi lontani.

Il disco racconta l’ignoto, un guardarsi dietro solo una volta e lasciarsi trasportare dal vento invernale, da quel gelido paesaggio azzurro che circonda le anime più solitarie, raccontandosi con una poetica di leggiadre parole a ricucire cuori infranti, a lasciar trasparire la minima emozione pur di raggiunger l’obiettivo, pur di dare un senso composito al mondo che gira attorno.

Un album, che suona giapponese, come l’etichetta che lo produce, un acustico quadro melodrammatico fatto di alberi e strade che non sono in evidenza, ma che si caratterizzano per essere al centro di un pensiero condiviso, che si prefiggono di essere un teatro per le rappresentazioni della vita che sarà, un’essenziale ricerca di nuvolosità variabile a racchiudere il pensiero della notte, tra sostanza e concretezza in ballate acustiche e minimali in stato di grazia.

5 canzoni che raccontano le malinconie, 5 pezzi d’amore e di neve, di sospirate attese e tiepidi addii tra la Canzone invernale e quel Non lasciarmi andare via, a dimostrare ancora una volta che siamo fatti prima di tutto di sentimenti a cui non sappiamo rinunciare, volendo raccontare l’amore disperso e ritrovato ancora una volta, come fioca luce nel bosco della nostra anima.

We are waves – Promises (MeatBeat)

Le promesse per un mondo migliore colmo di introspezione sonora che ci regala un disincanto suono proveniente da mondi lontani, incatenato e inglobato, una musica di altre dimensioni che prende direttamente spunto dalla migliore scena new wave anni ’80 per incasellarla nel futuro prossimo, i Joy Division che incontrano gli Editors, i The Cure incontrano gli Interpol attraverso un messaggio di sintetizzatori elettronici che ricercano il modo migliore per entrare nei nostri cuori e non uscire mai più.

Combattere gli inverni e abbattere il muro del suono, dare la possibilità alle malinconie di uscire allo scoperto, di darci ancora una volta quella speranza che accende la fiamma dell’amore, quel grigiore da abbattere perché noi siamo le promesse, siamo onde che si contorcono per creare spazio, per darci la possibilità di superare il confine ancora una volta, tra elettronica vintage che sa di reale, un tocco estetico in stato di grazia che si fa raccontare.

La crescita e le inquietudini, la scarsa conoscenza di sé che diventa arte, colpevole di non essere più quella di una volta e alla ricerca di un nuovo canale, dove convincere, dove poter sperare ancora.

1982 è canzone emblema fino a lasciarsi conquistare da Be your own Island e poi via via tra Monochrome e Silent Lullaby, fino alle finali Midnight ride e What happened today is useless.

Sono in quattro, si chiamano We are Waves e con questo hanno confezionato uno dei migliori dischi del 2015, scusatemi se è poco.

Q-Yes – Generazione Y (Phonarchia Dischi)

Non si possono definire, a loro non frega niente essere definiti, loro escono dalla moda di ogni giorno per rimarcare con vitale importanza il concetto di colore intriso dentro ad ognuno di noi, si fanno portavoce di spazzi che non sono stati ancora scoperti e grazie ad un suono ricercato e canzoni di gioie amori e dolori i nostri Q-Yes ex Zocaffè si lasciano andare tra flutti e mari inesplorati dove l’istintività è anche segno di maturazione.

Beat non troppo conclamato che viene spruzzato dal rock’n’roll d’annata con le chitarre che non sono fragorose, ma che fanno il loro dovere, il tutto condito qua e la da un’elettronica sbarazzina, ma sicuramente convincente in grado di trasformare il grigiore del quotidiano in un caldo abbraccio di gioia intrinseca.

I nostri raccontano di amori e tradimenti, si raccontano e guardano dal cannocchiale della vita le mille sfaccettature che quest’ultima riesce a donare, si immolano e registrano, capiscono fin dove possono spingersi e lo fanno con eleganza, ma mai con insistenza tra Margherita e il suo mondo di illusione virtuale, tra le #chiacchiere e i Rivoluzionari da bar che popolano i nostri paese e le nostre città, passando con ironia a Lividi e baci e finendo con i cibi manipolati in un omaggio a Celentano con L’unica chance.

Un disco questo che segna una nuova partenza, senza compromessi e con un’originalità disarmante, a segnare l’inizio del tempo, quel tempo che a pensarci bene è anche il nostro.

Gnac – Adesso (Autoproduzione)

Raccontano di vita e raccontano l’ironia delle situazioni imbarazzanti, raccontano un modo diverso di concepire l’esistenza, raccontano il grado di sopportazione di noi umili umani nei confronti di chi è diverso e di chi almeno cerca di essere diverso, i padovani Gnac concentrano passione in tutto quello che fanno e si immolano con cantato sbarazzino a essere da esempio per un rock dal sapore retrò contaminato da interventi prog di tastiera ricercata e mai banale, confezionando un album da non inglobare in un canone predefinito, ma cercando di trovare una propria via tra i cantautori e i gruppi anni zero che via via intasano i nostri social network.

Gli Gnac però donano al tutto una disinvoltura che non guasta, i testi sono diretti e senza fronzoli, si concentrano sulle situazioni di vita quotidiana e raccontano a noi ascoltatori un concentrato di vissuti che risulta essere al limite della comprensione, ma che purtroppo è indice e spiegazione della nostra inesorabile malattia che ci crede alternativi, ma purtroppo conformisti.

Un plauso quindi a questo gruppo, che attraverso gli intarsi ben educati dei quattro strumenti, riesce a narrare il divenire, un vivere inghiottiti come pesci, senza sapere dove il domani ci porterà e tantomeno senza sapere cosa sarà il futuro per Noi.

Un disco che si muove distinto, che ci ingloba in un pensiero ancora più grande e che sostanzialmente se ne frega di tutto e di tutti, K2 ne è l’esempio; 9 tracce per una lotta ai nostri attuali e malati principi tra Critica e consumismo a Pazienza è la vita, un album questo, che si accomoda su di una sedia ai bordi della strada, calmo e quieto a fotografare i momenti imbarazzanti del nostro vivere quotidiano.

Woods of Karma – This has already been done (Resisto)

Wood of karma suonano un rock inglobato e incentrato sui passaggi di armonia e sulla capacità espressiva di creare e donare sfumature diverse alle quattro canzoni che compongono il loro EP This has already been done.

Il loro alternative rock sfrutta il passato anni ’80 per proiettarsi con tenacia e caparbietà suonata nel futuro odierno, tra sali scendi sonori che spiccano per internazionalità e capacità espressiva, un lungo viaggio tra gli anfratti sonori dell’anima, un essere accolti in un mondo privo di certezze.

Sfumature heavy contornate dalla melodia fanno di questa presentazione il cavallo di battaglia del gruppo che grazie ai cinque si contorna di velata introspezione.

Aubergine è riconducibile al sogno svanito, a quel sogno che rincorriamo e che non riusciamo a fare nostro, non riusciamo a renderlo reale e quindi siamo costretti a fingere che tutto ciò che abbiamo intorno sia quello che vogliamo.

Sinuasa poi The Model dei Kraftwerk, passando per il mare senza fine di Endlessea in una lotta tra uomo e natura che vede quest’ultima trionfare sempre e su tutto, finendo con August for the last time, dove i pensieri si fanno innocenza di gioventù vissuta.

Un bell’esordio che decolla fin dalle prime battute, lasciando sperare un approccio ancora più incisivo nei prossimi che verranno.

 

The Fence – 14 Ep (Resisto)

I The Fence sono un gruppo assai anomalo nel panorama della musica italiana, in quanto sanno confezionare un disco di rock velatamente pop ispirato alla musica dei grandi degli anni ’70, fin qui niente di speciale, il punto è che la forza del gruppo, oltre agli accurati arrangiamenti è una voce chiara e limpida che allo stesso tempo riscalda e riesce ad aggiungere al tutto gradi di sfumature che si concentrano sul caleidoscopio di colori che ci appartiene, dando al bianco e al nero un tocco di giallo che per assonanza e similarità ingloba un pensiero woodstockiano che lo rende presente e vivibile ancora ai giorni nostri.

Cinque pezzi tra ecletticità e libertà di espressione che concentrano i vissuti, addomesticandoli e successivamente consegnandoli come prova tangibile di un viaggio sonoro che non ha fine.

Brani dichiaratamente pop come All that matters to me e Dont be sad si affiancano efficacemente all’elettronica non conclamata di Nowhere land passando per l’elettrotango di Shame e chiudendo in bellezza con l’introspezione emozionale di Run and Hide.

Un disco carico di speranze, capace di trasformare una qualsiasi serata in un qualcosa di tangibile e concreto, cinque pezzi capaci di affermare la solidità della band, capacità intrinseca di uscire dalla moda del momento per creare un mood identificabile al primo ascolto.