Shapeless Void – Oberheim (Autoproduzione)

Copertina che sembra uscita direttamente da un artwork di Stanley Donwood, disegnatore e scrittore che ricordiamo per la collaborazione con Yorke dei Radiohead, nella creazione delle opere d’arte a cui siamo abituati, packaging essenziale, ma elegante, tonalità fortemente cupe segno dei tempi, carta riciclata e leggermente ruvida che ti fa percepire il passaggio tra passato e presente e un nome, Oberheim, che fa presagire qualcosa di incontrollabile e privo di certezze.

Il disco però, all’ascolto, crea un diverso effetto, ci muoviamo in spazi meno angusti, che si concentrano sull’impatto sonoro, tra chitarre pesanti e distorte che accompagnano un cantato velato di malinconia e sottoposto al continuo incedere di ritornelli ammiccanti che si concedono e lasciano presagire una strada aperta per il futuro.

Stiamo parlando dei Shapless Void, band nuova nuova, formata ad inizi 2014, dedita da subito alla creazione di canzoni inedite, nell’ottica di un’autoproduzione consapevole e ragionata e dando alla luce a un piccolo disco di quattro pezzi, tutta sostanza e caratterizzato da piccoli rimpianti per l’alternative degli anni ’90 spruzzato qua e la da un garage rock che strizza l’occhio a White Stripes  del primo periodo.

Incisivi in primo luogo, i nostri bresciani si lasciano trasportare tra le profondità dei mari con A drop in the ocean, per passare alla concretezza di Stuck in the Queue e al basso dominante di Assassin, finendo con il cantato in primo piano di Reckless.

Un buon esordio capace di intrappolare in una fotografia formato polaroid il nostro tempo, senza forzamenti e senza chiedersi troppo, con la mente legata al presente e i sogni protesi al futuro.

Discoforticut – Femmes (Autoproduzione)

Un viaggio nell’universo femminile fatto di musica che si ingloba poeticamente alla frenesia dei giorni lasciando evaporare concettuali astrazioni in divenire che sono esemplificazione totale di un’elettronica studiata fino ai minimi particolari, che si racconta e si lascia raccontare.

L’esordio del prima trio torinese rimasto duo affascina per concretezza e solidità di base, ascoltare Femmes è come entrare all’interno di una colonna sonora di un film inglobante che mescola culture diverse, dai freddi polari ai deserti colmi di siccità, trasportando un sentore comune, un desiderio non innato, ma maturato con l’intelligenza: quello della condivisione di spazi e di esemplificazioni sonore che divagano tra lounge soul e chill out da atmosfera, uno spaziare tra territori inospitali per concedersi ancora una volta e facendo del citazionismo per immagini una strada da seguire.

Due quindi le attuali menti del progetto Discoforgia, già produttore di musica elettronica su label inglesi e americane e Ut! polistrumentista e videomaker, due anime quindi che fondono e confondono le proprie sapienze per dare un giusto significato al contesto in cui viviamo, raccontando una società, mettendosi in gioco.

Ecco allora che osare sembra rimasta la sola e unica cosa da scegliere e da fare, in un progressivo innalzamento dei costrutti le vicende sonore raccontate si dipanano tra chiaro scuri esistenziali che parlano della donna, in modo disinvolto; una musica per l’anima e un sospiro al cielo, disegnando nuvole di immacolato candore e di immacolata bellezza.