Parte Lesa – Lo scambio (Autoproduzione)

Vengono da Brindisi e fondono la new wave anni ’80 con un progressive rock di matrice anglosassone che si intreccia a voci maschili e femminili per raccontare in modo superbo, narrativo e originale un’Italia che non c’è più.

Un album non dichiaratamente politico, ma che parla espressamente di Noi, del nostro modo di essere e della nostra parte più combattiva, quella che ci permette di aggrapparci nei momenti peggiori della nostra vita, quella che ci permette di sopravvivere sopra ogni cosa, oltre ogni pensiero, oltre ogni immaginazione.

Testi poetici e ben strutturati ci schiaffano la realtà così in modo diretto ed esplicito, in modo quasi sensazionale, raggiungendo apici di poesia onirica che a tratti, a gesti, rende la proposta un’esemplare rappresentazione di uno spaccato di società che non viene sentita e che non viene ascoltata, uno spaccato di Noi che relegati ad essere umili consumatori chiniamo il capo giorno dopo giorno.

Questa però non è la lezione dei Parte Lesa, loro ci insegnano a lottare, a denunciare, a vivere in modo pieno facendo della nostra vita uno strumento legale per una politica che è di tutti, che non abbandona nessuno, una politica a favore di quelle classi sociali più deboli e prive di diritti, tra sonorità in espansione e lotte sindacali, Tra Lecce e Nardò passando per L’errare e Paga Bobo: rivendicazioni di classe per valori che non esistono più.

Ecco allora che ritorna l’essenzialità del valore, il credere in un ideale che sempre più fa parte della storia, un ideale però che deve tornare ad essere nostro, come la storia del resto, in un moto ondoso continuo che prima o poi si calmerà per renderci uguali l’uno all’altro.

Malamanera – Il primo passo (Autoproduzione)

Musica d’autore scanzonata e spensierata che grazie ad un ritmo latino ci proietta inesorabilmente in un mondo fatto di colori e sensazioni, ritornelli facili da memorizzare inglobati da una linea melodica che prende fin dalle prime note.

Un disco ricco di sole, che lascia da parte le malinconie invernali per concedersi in un solo e lungo caldo abbraccio, un momento di pace interiore che rispecchia in primis un amore sconsiderato per la natura, quella natura raccolta e coltivata, una natura che dona frutti sperati e ripaga dello sforzo fatto grazie ad un suono dub incuriosito dallo step avvincente di fisarmonica incastonata con la batteria.

La voce poi si innesta perfettamente creando con basso e chitarra un incalzante filastrocca continua che si fa portatrice di un suono fresco, non troppo manipolato e che si lascia all’intuizione brillante e pulita di un levare accompagnato dal reggae sud americano e decantato tra samba e ska nostrano.

Otto composizioni che seguono una linea guida, otto canzoni che parlano di noi e della positività partendo con Maldita e finendo con Tu Que tra viaggi sognanti in territori lontani e selvaggi.

Un disco d’autore quindi fatto da una band, un disco che si racconta si con leggero impegno, ma che si lascia anche trasportare dall’emozione e dal contatto con qualcosa che per consuetudine è lontano, ma che grazie alla scoperta risulta essere incredibilmente vicino.