F@B – Talmbout’Dat (Overdub Recordings)

Solitamente non recensiamo lavori esteri, tranne appunto in rari casi ed eccezioni.

Come abbiamo fatto in passato per Rue Royale e il nuovo collettivo di cui è partecipe anche Thurston Moore della Gioventù Sonica, il disco che andremo a descrivere è di una band ucraina che mescola in modo egregio il nu metal, il grunge e un post funk che colpisce per internazionalità e capacità intrinseca di infondere energia come un pugno allo stomaco colpisce le strutture che ci circondano, immagazzinando rabbia e lanciandola al suolo come fosse un uragano di pioggia pronto a stagliarsi contro una città in fiamme.

La peculiarità che caratterizza questi giovani ucraini nella fattispecie è il pensiero dominante che grazie ad una teatralità non spiccata ma che fa un uso di maschere,  ripercorre l’agonia giovanile e del mondo intero, dove la società impone e il popolo non ha coscienza di decidere, non può permettersi di scegliere cosa fare, cosa è più giusto e cosa le sensazioni della vita possono dare rispetto a costrutti prestabiliti e imposti.

Un disco in stato di grazia che per assonanza ricorda i primi anni’90 e la fortuna per un certo genere e stile che abbracciava simultaneamente RATM e l’aggressività di Korn su tutti per poi passare all’evoluzione di POD e SOAD in primis tra il ricucir ferite create dal dolore post grunge.

Album stupefacente quindi, che si immola ad essere un continuo con la storia di genere, tra dirompenti cavalcate elettriche e stoppati da brividi, pensieri distruttivi con risonanze da costruttori di idee.

 

Dissidio – Thisorientamento (OverDubRecordings)

Atmosfere che si fanno incubo, che sono distese di cupezze oscurali e graffianti che coincidono con l’eclissi e frastagliano eleganti giornate in brutti sogni ad occhi aperti da assaporare, da maneggiare con cura e con estrema volontà affrontare giorno dopo giorno.

Canzoni intrise da poetica teatrale istrionica, maneggevolezza che esplode in un solo vacuo sospiro disilluso, fonte di saggezza e capacità di narrare che con rabbia e maestria colpisce al cuore e non se ne va tanto facilmente.

Il circo grottesco ad occhi aperti che ricalca una volontà fatta di immagini e racconti, pensieri disordinati che si apprestano in poco tempo a creare storie: gli Elettrofandango incontrano Il teatro degli Orrori per fondersi alla rumorosità dei Massimo Volume in un vortice post espressionista di dilagante apertura mentale.

Raccontare con rabbia un’Italia che non gira creando un senso di disorientamento che ci accomuna, che accomuna speranze e per intensità ci affoga come in un vortice, facendo morire tutto ciò in cui noi crediamo, perdendo la strada della ragione e rendendoci partecipi di un costrutto lento da assorbire e privo di punti fermi da cui incanalare nuova e più vigile vitalità.

Si parte con Ciao, Ciao parte 1 passando per le irriverenti ha ha ha e quel gusto per il teatrale sommerso in Pezzo di sfiga e Vetrina specchio in modo da condurci ancora una volta al senso di tutte le parole, al nostro io rapportato ad un mondo da superare.

Disco carico di personalità questo, che elargisce e non ci abbandona, ma ci accompagna, grazie a questa grande band, davanti a nuove sfide da affrontare, senza paura del vento, senza la paura di ciò che verrà.

A l’aube Fluorescente – Taking my youth (Overdub Recordings)

Prendi la mia giovinezza e scaraventala al suolo, immola grida di dolore verso ciò che non è più tuo e compi un gesto d’amore, verso chi ti teme, verso il caldo estivo, verso il piccolo che è dentro di te e che deve in qualche modo far parte di un qualcosa di più grande, di più sentito, verso territori lontani; nostalgici coinvolgimenti emotivi tra rock sognante per partenze cosmiche.

Gli Alaf segnano il cammino con questa nuova prova e lo fanno con un suono di tutto rispetto, mescolando sapientemente il post grunge e creando un alternative rock non forzato, ma che imbastisce trame sonore senza tempo, un estinguersi di gioia verso territori sconfinati, un infinito che si tocca con mano e rende la proposta un’eterogeneità complessa e non banale, dando prova ancora una volta della capacità intrinseca della band di creare in tutto e per tutto meraviglia.

Prendere la giovinezza è un inno generazionale che dentro di noi esplode come fosse materia incandescente, tra le divagazioni sonore di Wiser, passando per la linea d’ombra di The King of air castle e altalenando il tutto sino ad arrivare alla bellezza di Venetian Green Room.

Un disco che per approccio si coordina ad una nuova forma di metal melodico, tra sospiri senza tempo che sono anch’essi veicolo per territori da esplorare, alla ricerca di quel bambino, alla ricerca del caldo d’Agosto, alla ricerca di qualcosa che giace sotto la polvere nel nostro cuore e che ogni tanto avrebbe bisogno di una luce nuova.

Open Zoe – Pareti Nude (Aulasei Records)

Testi diretti, lineari, che si raccontano e ti fanno percepire quell’insaziabile bisogno di comunicare parole non scontate, parole non lasciate al vento, ma che si fanno veicolo per cambiare, per dare nuove possibilità,  in una giostra altalenante che fa parte di tutti noi che respiriamo la stessa aria e viviamo tutti sotto lo stesso tetto.

Gli Open Zoe sono elettricità non conclamata, ma presente al punto giusto, che dissipa ogni dubbio sulla capacità intrinseca di questa band di creare melodia sovrapponendo il moderno pop rock con un occhio però attento e sempre rivolto al passato che da si  le basi da cui partire, ma anche e soprattutto i mezzi per creare qualcosa di migliore.

Echi di Baustelle per testi che ammaliano per veridicità e schiettezza, pareti nude da riempire, da far parlare con il colore della vita, il bianco che si fonde con il nero per dare al grigio la possibilità di cambiare di essere diverso, solo se noi lo vogliamo.

La franchezza delle composizioni è un abbaglio, una luce alla finestra, un tentato approdo verso porti lontani, magnificenza sonora che fa scomparire il buio e ritrova un’armonia che a dire il vero si compone quasi fosse in stato di grazia.

Armi taglienti sono le corde della chitarra che fanno partire il viaggio, un costrutto sonoro di rapida intensità che non da scampo, non da scampo però con grazia, in un etereo viaggio fatto di incubi da cui vogliamo svegliarci.

Ecco allora che l’intensità del sogno è solo il mezzo per arrivare al fine e gli Open Zoe sono i nostri traghettatori.

Wander – Wander (Nothing out there)

Wanderweb

Wander esce per la piccola label francese Nothing out There nell’ambito della trilogia “Four Arms, Two Necks, One Feedback” serie of guitar duos recordings”.

La prima uscita è stata O’Death Jug, progetto di Michel Henritzi e Christophe Langlade, la seconda appunto Wander e a chiudere ci saranno i Przewalski’s Horses.

Wander affronta il tema della musicalità pizzicata intrisa da un duo di sole chitarre acustiche che si fanno portavoce di un suono che riporta a quei film in bianco e nero, quei film carichi di nostalgia e vissuta speranza per un avvenire diverso, sentito, magari intrapreso da piccoli e sporadici avvenimenti, riportando a  casa il senso del tutto che copriva il malumore.

I Wander sono Vincenzo De Luce e Matteo Tranchesi e grazie ad una solida preparazione di base riescono a ricreare un mondo, un universo sconosciuto da esplorare tra le malinconie e i fiori rari che giorno dopo giorno si ascoltano, si accarezzano e si immolano ad essere futuro.

Una tradizione che si esprime in gusto personale, in accortezza stilistica che va ben oltre il nostro sentito dire, che lascia l’american style per abbracciare un suono più europeo, di sostanza, fuori da canoni modaioli e intrisi di perbenismo democratico.

Ecco allora che l’inesorabile avanza e si fonde nell’essere coscienza che respira, tra le sei tracce di orientale parafrasi, uno stile diverso questo, che sente l’urgente bisogno di salire in cattedra e fare scuola.

Doc Brown – A piedi Nudi (Autoproduzione)

Elettro pop vintage con stile che guarda al futuro con una certa ammirazione e una certa qualsivoglia ironia e fame di sapere che si rapporta al mondo esterno come se fosse un’esperienza da vivere giorno dopo giorno alla ricerca di una fessura, di uno spiraglio su cui dare speranze e sensazioni che vanno ben oltre l’ideale di essenza a cui siamo abituati.

Quattro tracce in tutto che ammaliano grazie ad un italiano credibile e a suoni filtrati che non fanno sentire la sovrabbondanza dei colori, ma che si limitano a percorrere e addentrare un’unica parte emozionale che gradevolmente ci accompagna e ci tiene per mano.

I Doc Brown si presentano dopo il fortunato L’uomo perde l’equilibrio con un EP sobrio, elegante e convincente che fa del racconto di vita un necessario per portare nelle orecchie di chi ascolta sprazzi di risoluta freschezza in un panorama che sembrava, con il tempo, appiattirsi inesorabilmente.

Ecco allora che vengono sfoggiate dal cilindro quattro piccole gemme da riascoltare più volte, assaporando i prati e camminando a piedi nudi, tra echi di Phoenix e letargici Baustelle, un tripudio di colori che si innesca alla sostanza e non lascia via di fuga per una manciata di canzoni che sanno di Primavera.