Serena Finatti – Serena più che mai (FolktestDischi)

Portami tra i rami di quell’albero che frutti non ha, non avrò paura se l’inverno verrà…questo è l’inizio di Serena, tra rami naturali che abbracciano la terra, un abbraccio che va oltre le stagioni e si condensa in ciò che appare reale, capacità espressiva e canora degna di essere e di far parte di un mondo che si nutre di docili note pianistiche essenzialmente accompagnate da chitarre sud americane e intrecci di archi in sovrapposizione che rendono prezioso il progetto.

Tra la cantautrice Lubjan e la cantantessa Laquidara la nostra espone i propri sentimenti raccontando al mondo che la ascolta peripezie quotidiane e leggere sofferenze velate da una malinconia d’autunno quasi ad incontrare certezze primaverili che si fanno solari nel caldo estivo che abbraccia, consola e soprattutto ama.

Serena canta l’amore, canta il bello attorno a noi e lo fa con una voce sempre all’altezza, capace di penetrare in profondità e scavare, con elegante attesa, ma senza ambizione, dentro a ciò che di più caro abbiamo.

Un percorso stilistico quindi che va oltre la ricerca del motivetto facile e ammiccante, quello di Serena sembra quasi un diario, delle parole in libertà capaci di raccogliere i frutti sperati da alberi sempre più alti e maestosi.

Un disco completo e leggero lo definirei, mai banale, ma di una bellezza vellutata e morbida capace di infondere coraggio da Incantata dal cielo a Bes de Diu, naturale proseguimento di tutte le cose, un ritornare alle origini tra il legno e l’erba il sole e le stelle.

Lilith and the Sinnersaints – Revoluce (AlphaSouthRecords)

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Lilith nasce artisticamente nel 1981 ed è ancora tra noi.

Aveva fondato i Not Moving band tra le più rappresentative del rock’n’roll italiano di quegli anni, 8 anni di attività su e giù da palchi più o meno importanti poi il silenzio fino al 2005, anno della reunion e successivamente il cambio nome in Lilith and the Sinnersaints per creare Revoluce  album che racchiude le parole Rivoluzione e Luce.

Quello che andremo ad analizzare è uno spaccato di vita che è un ponte di trent’anni dentro alla storia della musica italiana, tra dirompenti soddisfazioni e incapacità di affrontare il futuro, tempo al tempo, possibilità per possibilità e grande capacità di adattamento che si scrolla di dosso la polvere del tempo per ritornare dove ci aveva abbandonati, con la necessità e la volontà ancora una volta di dire, di fare e di raccontare qualcosa.

Lilith è uno spirito inquieto capace di emozionare con poesie che vanno oltre la concezione della luce e si intersecano in piccole opere cesellate che si concedono lo spazio per creare punti di sbocco dominanti da dove poter uscire e respirare ancora una volta, fino a quando abbiamo fiato, fino a quando tutto quello che vive intorno a noi acquisisce un senso che ha il sapore dell’eternità.

Lei si fa precursore di suoni e l’incedere delle undici tracce ne sono l’esempio, vite errabonde consumate che parlano di rapporti su scale emozionali avvincenti e di forte impatto, tra atmosfere desertiche e linee sincopate a creare atmosfere uniche, tra Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Basile, passando per Ferretti e Umberto Palazzo.

Un disco suadente ed emozionante capace di stringere consuetudini abbandonate in una ricerca di stile continua e profonda.

 

Stelio Gicca – Palli – Corpi Estranei Vol. 1 (Edizioni Helikonia)

I corpi estranei sono quei corpi che non si conoscono, ma nel momento dell’incontro l’inutilità fatta bersaglio si scioglie per lasciare spazio al sentimento, all’amore per una terra e per la bellezza che non ha confini, ma che si innesta delicatamente nella sostanza di chi ogni giorno prova a raccontare con geniale sobrietà i momenti della vita; piccoli racconti di storia quotidiana che fanno da sfondo a pavimentazioni di una città che non ha fine.

Siamo a Roma, parliamo di Stelio Gicca – Palli, grande amico di Edoardo De Angelis, creatore assieme a quest’ultimo della celeberrima Lella, un cantautore che fin da giovane ha apprezzato il gusto per le cose semplici e dirette, il raccontare la vita a tutti utilizzando un linguaggio condivisibile e condiviso, attento osservatore dei cambiamenti e instancabile ricercatore di un’anima dentro ad ogni cosa.

Attraverso questo disco, il suo primo disco, nato da un’esigenza che si protraeva nel tempo, il nostro parla attraverso note jazzate e swingate di una città metropolitana, immensa, dei rapporti tra le persone, ma di una ancora conservata bellezza che esplode pian piano traccia dopo traccia, canzone dopo canzone, fino a farti scoprire che l’essenzialità è costanza e gli anni passati a macinare pensieri portano inevitabilmente ad un qualcosa di grande: il disco.

Un album composto di 11 tracce, piccole poesie quotidiane le definirei io, confezionate da arrangiamenti magistrali e di introspezione sonora, l’apertura di Piazza di Spagna. alle quattro è delicatezza in musica come del resto lo sono pezzi come Via dei Colli e a Posto.

Una delicatezza che disarma, un disco per palati raffinati, che amano però la semplicità, fatta di sostanza senza fine, oltre il tempo, in un incontrarsi che è già conoscenza.