Michele Maraglino – Canzoni contro la comodità (La fame dischi)

Disco maturo e musicalmente aperto alla sostanza che avanza, un disco ultra moderno che delinea meticolosamente, soprattutto per chi fa troppe fotografie, uno spaccato di realtà nostro e vissuto, un inno contro la comodità e l’apatia, il non far nulla scelto e il non far nulla per imposizione.

Un disco che sa di pioggia d’Aprile le tonalità si incupiscono e regalano sogni infranti e desideri commossi da pietà che mai e poi mai prenderebbe l’iniziativa di essere quella che non appare.

Un album sulle apparenze quindi, di denuncia, verso un’Italia che va a rotoli perché siamo noi che lo vogliamo arricchiti da strumenti inutili, la fisicità che vince sulla bellezza, il futile che si aggrappa ai pensieri e li rende reali più che mai, senza una via di scampo, senza una via di fuga.

Michele racconta tutto questo e lo fa con il piglio del cantautore, che rispetto all’album precedente si apre a suoni più indie rock  abbracciando le distorsioni del brit pop e strumenti necessari quali pianoforte e tastiere per rendere la proposta più concreta e avvolgente.

Ottima prova che denota quindi carattere e lucidità per il patron della Fame, otto tracce che si fanno bere in un istante e lasciando in qualche modo il nostro eroe solo contro tutti in attesa di smuovere animi, accendere il cervello e far correre le idee.

Il Fieno – I Vivi (Autoproduzione)

 

Il Fieno

Il fieno continua il proprio percorso alla ricerca della canzone perfetta.

Il fieno ci regala finalmente il primo full legth dopo i primi due ep di qualche anno fa.

Prodotto da Paolo Perego, I Vivi è un disco di materiale scottante, che parla della dura realtà che dobbiamo affrontare e di quell’eterno equilibrio a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno, istante dopo istante quasi fossimo noi protagonisti apatici di una vita che non ci appartiene.

E forse il fulcro del tutto parte proprio da qui, dalla necessità di creare qualcosa per noi che sia bene e in questo Il fieno ci aiuta  a trovare la strada, a smuoverci dalle comodità della televisione per renderci partecipanti attivi del mondo in cui viviamo.

Le otto tracce presenti hanno il sapore dolce-amaro di una pop song targata ’90 proiettata però negli anni in cui viviamo, dove a costringerci a restare a galla sono i pochi ricordi che ci appartengono.

Una commistione quindi di sonorità che si amalgamano in modo egregio e spettacolare e ci fanno sentire un qualcosa di già sentito nel singolo Del conseguimento della maggiore età, rafforzando l’idea dominante e colpendo dritto al fondo.

Un disco che fa e che farà centro sulle nostre realtà, sulle nostre paure e sulle avversità da affrontare, un album per chi resterà, per noi Vivi in attesa di compiere il salto nel vuoto che ci attende.

Sophie Lilienne – The Fragile Idea (Irma Records)

Sophie Lilienne è Il VeZzo e il VeZzo è Sophie Lilienne.

Marco Vezzonato viene da Venezia ed è uno sperimentatore di trip hop sonoro, mescolato all’elettronica d’avanguardia e a sonorità ultraterrene da terra di mare smerigliata e lucidata a dovere per sembrare ancora più bella.

The Fragile Idea racconta una storia, fatta di pensieri fragili, dentro la nostra testa, chiusi dal sacchetto della speranza che non ci da la possibilità di creare, di intraprendere quel viaggio necessario per la nostra totale compiutezza.

The Fragile Idea è anche la colonna sonora di un film che parla di Noi, di come ci muoviamo e di come tentiamo di comprendere il destino, ma che in realtà, proprio il destino stesso ci obbliga ad essere formiche rispettose e stabilizzate in tempi da rispettare, ma che non sono i nostri, relegati a regole già scritte da altri, ma che non sono nostre.

Questo disco è un ‘esperienza uditiva e dal vivo si trasforma anche in esperienza visiva, concentrando sonorità su immagini e immagini su sonorità; artefatti della vita e della morte dove in mezzo ci siamo noi con il nostro vivere quotidiano, innescato da qualche attimo di gioia o da qualche buon disco come questo.

Fragile Idea è colonna sonora essenziale ed esistenziale, dove i protagonisti sono gli umani, alle prese con la loro quotidiana innocenza.

Lemmins – Lemmins (Marsiglia Records)

Lemmins è sinonimo di psichedelia folk che abbraccia suoni da spiaggia degli anni ’60 in continua vocazione sonora e rigenerando muscoli, temprando spirito e maneggiando con cura suoni che, registrati con un analogico a 16 tracce, si fanno più reali, caldi e veritieri.

5 canzoni direttamente dalla Liguria, 5 canzoni e niente di più per questa bella e autentica prova che regala sapori di new wave abbracciati alla sostanziale vincita della musica su tutto.

Una continua ricerca di suoni bene calibrati e delineati, facendo si che la proposta risulti essere alquanto digeribile e appassionata.

Un disco fatto con il sudore, immediato e che colpisce, caldo e avvolgente come una coperta, ritmato e poderoso come un tamburo, dove i colori si fondono con il cielo e il necessario è materia sonora per creare, incidere e partire per il viaggio.

Si perché questi 5 pezzi sono un viaggio sonoro da cui non vorremmo mai tornare.

Tommaso Tanzini – Piena (Stop Making Sensible Records)

Vi ricordate di Tommaso Tanzini chitarrista, cantante, dj ed ex Criminal Jokers che si concede attimi di sperimentazione sonora in completa solitudine, contribuendo ad arricchire quel substrato culturale del cantautorato anni zero fregandosene principalmente di tutto e mirando a concetti elementari e di sicuro impatto.

A Tommaso non frega niente nemmeno del bel canto, parole lasciate libere di vagare tra melodie acustiche e sintetizzate elettronicamente dove, nonostante tutto, il nostro regala attimi di fulgida genialità in lampi di incertezze che attanagliano e costringono alla solitudine.

L’album è fatto di piccole storie, racconti da cameretta che si fa sempre più stretta, dove i muri appaiono lacerare i pensieri e al bisogno di uscire un letto comodo a disposizione impedisce la fuoriuscita dei pensieri.

Si perché questo è un disco in libertà, privo di ogni schema e certezza, un naufragar sui flutti della protesta, ma fatto in maniera delicata, quasi per gioco, dove le sostanze da cambiare sono tante e i sogni invece ancora pochi.

La realtà quindi che si fa vera e che viene raccontata in queste pagine musicali, a corredo di una semplificazione sonora in carne e mai frivola, un cantautore che riesce a usare l’autoironia facendo leva sulle incertezze della vita, quella vita di cui non saremo mai sazi.

Greta Narvik – Kiruna (Autoproduzione)

GN CD LAYOUT esterno

Elettronica che si fonde ai pomeriggi di introspezione, alle solitudini terrene che generano accoppiamenti e giochi di sorte dove potersi intrufolare, chiedere e inoltrare mondi sovrapponendo idee, storie e pensieri.

Sara Fortini con il suo progetto Greta Narvik contribuisce a creare un alternative rock da classifica cantato in parte in italiano e in parte inglese dove i sussurri sono più importanti delle parole stesse, dove a fondersi e confondersi non sono linee vocali pressoché perfette, ma sono vissuti di rara bellezza  e continua ricerca.

In questo piccolo ep di 4 pezzi si possono ascoltare le dilatazioni Mogwaiane fino a raggiungere i vertici dei primi Sigur Ros e l’accattivante proposta in evoluzione del Yorke elettronico.

Greta Narvik ci porta in un mondo tutto suo e ci fa sognare, si perché con questo disco la dolce ballata che ci accompagna fino alla fine è dentro di noi, fa parte di quel qualcosa che non sappiamo ancora definire, ma che ci rende tali e soprattutto veri.

Si parte con l’italiana Cosa senti fino all’apice del disco Ivy passando per la convincente Forse Cerco, finendo con la cauta timidezza di Mask.

Un album che suona lontano, quasi fosse trasportato dal mare, dentro a una conchiglia su di una spiaggia deserta dove a sorridere sono le sparute nuvole.

Crayon made army – Flags (Autoproduzione)

I Sigur Ros sbarcano in Italia, si accomodano e prendono casa in quel di Terni; sul serio i Sigur Ros qui in Italia? No scherzetto stiamo parlando dei Crayon made army che portano avanti da un bel po’ di tempo la loro vocazione per sonorità islandesi e derivate, avendo in comune con il gruppo di Jonsi la capacità espressiva di abbandonarsi lungo i flutti gelati di un freddo inverno e scaldando l’anima grazie alle numerose sfaccettature che riescono a dare alla loro musica.

Questi tre ragazzi sono un esempio anomalo italiano di come si può fare musica in modo più che ottimo direi, pur essendo nati nella penisola dell’indie pop senza senso a cui ci stiamo abituando fin da troppo tempo.

I nostri si concedono a melodie eteree condite qua e la da sprazzi di vivacità sonora dove la musica prende il sopravvento e si lascia rincorrere fino a scoprire nuove realtà, nuove dinamiche da assaporare.

Un disco che parla di luoghi dal mondo, di quei luoghi che si fanno esemplificazioni dei quattro elementi, numerose sono le composizioni che parlano direttamente e indirettamente di questi, lasciando l’ascoltatore in un vortice di sensazioni che impressionano e fanno comprendere la caratura e levatura non solo tecnica del gruppo.

Abbracciando stili ed elettronica dosata, i nostri assaporano punte di The Album Leaf e Radiohead passando per Bjork e la pazzia dei Mum.

Un gruppo che ha pieno diritto di entrare tra le migliori proposte del nostro panorama musicale, tenendo un occhio incollato fuori dai nostri confini alla ricerca di un canale perfetto dove far scoprire la propria musica.

 

Priscilla Bei – Una Storia vera (Autoproduzione)

Entrare in punta di piedi in un mondo delicato, fatto di piccole cose che si trasformano in sostanza, in energia da poter vincolare, ma allo stesso tempo in passi da incidere in un incedere della vita che non sempre risulta dolce e sincero, ma si porta appresso le vicissitudini, le ansie e gli abbandoni, gli stretti contatti persi in un giorno quieto d’autunno.

Priscilla Bei regala un album di cartapesta, un album aperto alla vita dal colore cartone, pastelli da appendere sul filo dei ricordi a ricomporre un viaggio dentro al passato, alla memoria che appartiene a tutti Noi, un cammino fatto di sogni, conquiste e paure.

Il passare delle stagioni in queste cinque canzoni è scandito da acquarelli leggeri che riempiono, lasciando qua e la sprazzi di luce bianca.

La voce delicata si sposa perfettamente al pop jazz sopraffino fino a condurci alla creazione di una musica che non è semplice intrattenimento, ma che richiude in se una variegata miscela di colori che si sposa bene con il suono creato da Giacomo Ronconi alla chitarra, Nicola Ronconi al contrabbasso, Antonio Vitali alla tromba e Daniele Leucci alle percussioni.

Un disco che denota classe, un pizzico di follia e tante buone intenzioni, una storia che potrebbe essere tranquillamente la nostra, una storia da raccontare, Una Storia Vera.

Sycamore Age – Perfect Laughter (Santeria/Woodworm/Audioglobe)

Inclassificabili è forse la parola che gira nella mia testa ascoltando il secondo album di una delle band più interessanti del panorama italiano odierno i Sycamore Age.

Cantano in inglese e sanno molto di internazionalità, anche perché il loro suono è una continua sperimentazione tra folk psichedelico e lisergico, contaminato da cori che ricordano il celebrato bianco album dei quattro di Liverpool per un approccio al tutto condito da eleganza di sintetizzatori che vogliono costruire, in un incedere melodrammatico, un’opera dai contorni segmentati, una ricongiunzione con una divinità astratta, il metafisico punto d’incontro con il me stesso nell’aldilà.

Il disco suona però concreto e i nostri ne escono i vincitori anche perché la commistione di generi provoca nell’ascoltatore un senso di stordimento iniziale che già al secondo ascolto riesce a inquadrarsi per essere maggiormente definito.

Non che questo sia facile, ma la ricerca porta il gruppo a varcare territori cari alla sperimentazione sonora tra MGMT e Pink Floyd, delicatezze alla Nick Drake passando per velate introspezioni Reznoriane a tentare di definire un concetto che implode tranquillamente in un Hail to the Thief più intimo e meditato.

Un album che sa di perfezione, altisonante e imperioso, colpisce e affonda, annienta l’inutile e si concentra sul raggiungimento di un qualcosa che non è percepibile, su tutte la meraviglia eterea Drizzling Sand.

Un gruppo che regala sorprese a non finire e stupisce per la qualità musicale proposta, un ricreare l’ambiente circostante tra acustiche sintetizzate e folk legnoso, tra pianoforti che sanno di boschi e batterie cadenzate, un ricreare perpetuo di un concetto arcano, ma così vicino a Noi, puro ed essenziale, fresco e dirompente.

 

Divano – Rimedi per ulcere in bocca, piaghe nelle gambe, rogna, magrezza, stitichezza e malinconia (Cabezon Records)

Cazzo dopo aver letto questo titolo ho pensato: questo progetto è adatto a tutti, un disco che si fa ascoltare e propenso a delineare una forma canzone sghemba, distratta, ma dannatamente convincente che stupisce e lascia da parte interi stereotipi per cercare una propria via.

Questo tipo si chiama Divano e non scrive canzoni d’appartamento, ma i suoi pezzi suonano come una spiaggia che si fa ascoltare, silenziata dalle conchiglie che trasportano il vento del mare, un’orecchiabilità che non esiste, ma che si concede, ammalia e confonde.

Paragoni sembrano inutili, c’è però il primo Di Martino, il primo Nicolò Carnesi, con appeal però più immediato e diretto, tra citazioni disilluse e un mondo nascosto, l’adolescenza degli Smashing Pumpkins e quel continuo tentativo di essere come allora anche se il tempo cambia, anche se il tempo trasforma, evolve e ci lascia alle spalle cose brutte e belle della vita.

Divano è un cantautore atipico/anormale, sognante e lucido di quella lucidità fatidica e rimbombante, mai gridata, ma all’occorrenza graffiante.

Ah un ultima cosa Divano è Francesco Pizzinelli, per più di dieci anni Jocelyn Pulsar, che in questo disco si mette a nudo, ricominciando da zero, in qualche modo come quando vai ad abitare in una casa e devi per forza metterci dentro qualcosa quadri, libri, pensieri e forse anche un bel Divano su cui poterli vivere.