Amana Melomé – Lock and Key (Tiwax Music)

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Indossate un abito elegante, da sera, possibilmente scuro e suadente, per immergervi in una stanza poco più alta di due metri e mezzo dove poter intravedere le luci soffuse di un candelabro colante lacrime di pioggia che amorevolmente scaldano, abbracciano, ti accolgono.

Questa è la musica di Amana  Melomé cantautrice caraibica/americana nata in Germania che ha perfezionato la sua tecnica in tutto il mondo, dando vita ad un soul con venature jazz impreziosito da una voce che regala emozioni e rende il viaggio, lungo i 5 brani che compongono l’ep, un percorso, obbligato, fatto di sogni onirici e orchestrazioni spettacolari.

Brani che partono nell’introspezione aprendosi ariosi e dove i fiati si integrano in modo eccellente creando giochi di rimando  e materializzazioni sonore osando su territori in continua esplorazione.

Una voce che riscalda quindi e che ti accompagna a conoscere il suo mondo, ti accompagna a spiccare il volo, come nell’immobilità sonora di Icarus, traccia di chiusura per palati sopraffini in virate di free jazz discostante, ma incanalato da una precisa guida, a chiudere un disco fatto di suoni che scaldano l’anima.

Fiorino – Il masochismo provoca dipendenza (Frivola Records)

Finalmente un cantautore frivolo, poco impegnato, poco serio ma dai davvero???

No Fiorino non è questo o almeno non sembra questo dopo un ascolto attento e completo del suo primo LP Il masochismo provoca dipendenza.

Di certo si respira in tutto l’album un’aria di tranquillità e pace, scandita da fischiettii e voce che se ne va per così dire a puttane, ricordando il Dalla e il Gaetano degli anni ’70 che raccontava storie di non senso, importanti quanto basta per gridare al miracolo, ricucendo strade interrotte e facendo ancora sperare che il nulla non si aprisse agli anni ’80.

Matteo Fiorino nasce a La Spezia, marinaio di professione e cantautore per vocazione, come ama definirsi e certamente questa sua capacità va ben oltre le attese.

Nei suoi testi troviamo l’ironia, ma troviamo anche la verità che si trasforma in veridicità e profonda convinzione che tutto ciò che possiamo creare lo possiamo anche donare agli altri in segno di gratitudine, ma anche in segno di protesta contro un’Italia che non esiste, relegata all’angolo del mondo circolare.

Ecco allora che i testi, si fanno esperienza di vita da narrare e come un flusso di pensieri si esaltano allo scorrere del tempo e alle emozioni vissute.

Fiorino è un cantautore atipico, per fortuna, che trasforma sassi in fiori e pezzi di carta straccia in acquarelli leggeri.

Modern Foca – Mi conosco dalla nascita (Irma Records)

Per ascoltare i Modern Foca devi immergerti completamente in un’atmosfera elettro pop colma e ricolma di sintetizzatori e basi sonore campionate a dismisura per ricreare sciogli lingua d’avanguardia, conditi da una dimestichezza con l’uso del vocabolario ad intessere strade di vita e vita nella strada.

Ai Modern Foca piace prendersi in giro e soprattutto inventarsi in ogni momento, quasi fosse una sfida da vincere e da cui trarre pensieri positivi e colorati per il domani.

Mi conosco dalla nascita suona come un disco dei Tiromancino velocizzato dieci volte, con incursioni del primo Tiziano Ferro, meno commerciale e più indipendente nei confronti di tutto e tutti a partire dai testi.

I nostri paladini combattono il futuro e lo fanno a suono di rime e ritornelli che restano impressi e con difficoltà scivolano via, Caparezza che incontra l’ironia di Elio condita da sprazzi di veridicità e sostanza.

Un disco che si ama al primo ascolto e che ti fa gettare i pensieri fuori dal finestrino senza inquinare.

Cumbo – Cumbo (FarmStudioFactory/Audioglobe)

 

Chitarra acustica che ha il privilegio di entrare in lontananza per piano poi riprendersi il posto assegnato, in primo piano, tra emozioni e racconti di una vita, per narrare il bene e il male in una forma inusuale e alternata da momenti di pathos ad altri più ritmati, ma incentrati nella formula cantautorale tanto cara a Dylan e Cohen.

In queste canzoni c’è molto del Claudio Lolli più intimista, quello de La Giacca per intenderci, in una visione delle cose arida e disperata da cui bisogna emergere per riprendere il proprio tempo e viversi.

Stefano Cumbo è un cantautore nuovo, fresco di questo primo album che parla di luce ed ombre, di un male da estirpare e di una vita da accudire, dell’inesorabile volontà di credere in un futuro che da poche speranze e certezze, ma nel contempo fertilizza le possibilità di essere migliori.

C’è una crepa in ogni cosa ed è così che entra la luce parafrasando Cohen, ed in queste canzoni si respira il tutto in ogni dove, partendo da L’amore ritrovato fino a Visioni in un’avventura che è la vita che costringe ad essere, ora più che mai.

Un cantautore fresco si, ma nel contempo maturo, di quella maturità che si può cogliere solo nei vecchi saggi o in chi nella vita ne ha vissute molte di storie, quasi, quest’ultime, fossero stelle di galassie lontane a cui dare ad ognuna un nome.

Lizziweil – In volo sopra la polvere (Petit Noir)

Poesie in musica che si aprono verso al cielo in un volo pindarico a catturare ciò che resta del nostro passato, ciò che ancora ci appartiene e ci fa sentire vivi.

Progetto insolito questo di Lizziweil all’anagrafe Laura Vertamy, già violoncellista, che ingloba in una commistione deliziosa e delicata la filosofa francese Simone Weil e la cantante statunitense Liza Minelli, in un folk parlato che regala emozioni a non finire esercitando un fascino crepuscolare e apprezzabile fatto di acquarelli grintosi e leggiadri in un vortice di pensieri e parole che abbraccia melodie folkeggianti e insoliti colori d’autunno.

La moda quindi si veste di giallo, nella stagione del cadere lento e noi a volare sopra la polvere, sopra a quello che oramai è nostro, per certezza, per affiorare in acque docili sussurrando parole sincere, verso un mondo che non ascolta.

E’ questo forse il significato più nascosto del disco, un entrare in punta di piedi in una realtà fatta di sogni e di amori che si consumano, che si sgretolano al sole e fanno in modo di ricrearsi e di riviversi nonostante il tutto, nonostante il niente che li circonda.

Fabrizio Frigo and The Freezers – Donsusai (Running Dog/ Audioglobe)

Elettronica sincopata, voce affilata e tagliente ad intarsiare melodie ultra terrene che si abbandonano in divagazioni sonore comprensibili e di facile impeto pop, una formula efficace che promuove il primo lavoro di Fabrizio Frigo and The Freezers.

Nascono a Firenze nel 2011 e dopo aver condiviso il palco con artisti affermati come Elio e le storie tese, Meg, Aucan, NoBraino, Lo stato sociale e Marta sui tubi, affrontano la prova del full length e ne escono vittoriosi.

Sintetizzatori che ricordano i Subsonica e incalzare di un ritmo sostenuto a raccontare la morte in toni raggianti, vestiti di un sole che splende anche oltre la vita e si porta appresso fatiche quotidiane e velleità appunto a cui possiamo facilmente rinunciare.

In questo disco si assaporano arie di internazionalità, il tutto suona come una mistura di elettro-pop che di nostrano ha a dir poco, dando all’ascoltatore la possibilità di interpretare, in un eco surrealista,  i testi criptici e ingabbianti.

Un disco che mescola, in un eterno divenire un genere che è sempre alla ricerca di una strada da seguire, un album vissuto fino all’ultima goccia di sudore, fino all’eterna realtà oltre la vita.

 

Eugenio in via di Gioia – Lorenzo Federici (Libellula/Audioglobe)

Scanzonati in una giornata di sole a correre lungo gli ombrelloni della costa, tra natura incontaminata e pubblico presente, ma non affollante, carico di quella capacità di farti sentire a casa in un posto che non è più tuo.

Dissacranti e avvolgenti li definirei intarsiati di quella capacità prettamente acustica di creare melodie vincenti che si ritrovano a far capolino con un cantato essenziale e non trascendentale per arrivare diritto al punto, alla conclusione, al concetto che si dirama lungo i 10 + 1 brani che compongono Lorenzo Federici il primo album di Eugenio in via di Gioia.

Testi semplici quindi, ma mai scontati dove il cantato avvolge le storie e come per magia le racconta, le spiega, le fa proprie fino a regalarle a chi ascolta o almeno a regalarle ancora a chi qualcosa vuole ancora ascoltare.

Infatti questo sembra un disco di trascorsi felici, ma dentro possiamo trovarci introspezione e la malinconia per qualcosa che non funziona, che non va come vorremmo andasse, che si perde per poi ritrovarsi in un cerchio continuo a formare la vita.

Ecco allora che la canzone d’autore di Gaber e Jannacci si scontra con la delicatezza di De André e De Gregori a ricreare una torta dai molti strati, dove le ciliegine sono proprio questi giovani torinesi che confezionano un lavoro esemplare, fresco e convincente.