Davide Solfrini – Luna Park (New Model Label)

E la giostra gira e gira, ma non per tutti perché per un secondo la vita può anche fermarsi, magari non riaccendersi mai più, nella speranza che quello che si è vissuto sia abbastanza da portare con sé.

Davide Solfrini nella sua nuova prova, Luna Park, racconta attimi di vita vissuta con un cantautorato fresco e a tratti malinconico, ispirato dalle grandi ballate rock del passato e da quel sapore del tempo che non ha mai fine.

Racconta storie, storie di tempi perduti che abbracciano inevitabilmente gli ultimi esseri umani in gioco in questa terra, ma che sono l’esempio di come sia necessario riscattarsi e credere che tutti insieme possiamo creare qualcosa di diverso, più vivibile ed essenziale.

Ecco allora che proprio per raccontare questo, come in Lavanderia o ancora più direttamente in Mi piace il blues, viene usato un linguaggio più diretto, andando alle origini del mito e della classe da dove il tutto è partito ed è potuto divincolarsi da quella canzone radiofonica che tanto era cara all’italietta degli anni ’50.

Il blues quindi espressione di umana verità che si fonde e confonde nel cantautorato rock del Dylan anni ’70 quando alla formula voce chitarra si era aggiunta una vera e propria band.

Un disco pieno di spunti di riflessione questo, che racconta con veritiera capacità e con un piglio ironico il nostro sentirsi parte di un qualcosa che non ci appartiene, un restare al mondo che ci obbliga a tenere gli occhi sempre ben aperti, ma che non ci impedisce per questo, di scoprire l’essenza della vita.

 

 

SeaHouse – Cristalli (NewModelLabel/Rawlines)

Entrare in una grotta non riuscire a scorgere nulla e poi pian piano meravigliarsi della scoperta, del fragoroso suono che ammalia convince e si disperde per poi riprenderti ancora una volta per farti partecipe di un qualcosa di assolutamente imprevedibile è mutevole.

Dentro a questa grotta ci sono cinque ragazzi di Lecce, che abbracciando i loro strumenti, creano strutture dalle molte facce piene di sensazionale energia e spaventosa quiete, pronta a tramutarsi in tempesta e a cadere come pioggia delicata.

Le melodie che si sovrappongono sono frutto di una particolare ricerca toccando i Sigur Ros di Von, passando per Mars Volta fino ad arrivare a vette di funky psichedelico da cui non si può sfuggire.

Dieci tracce, dieci pezzi di cristallo in cui perdersi e lasciare che il nostro corpo fluttui nel vuoto più assoluto alla ricerca di un qualcosa che abbiamo perso da tempo e a cui non sappiamo più dare un nome.

Un viaggio nell’oscurità più profonda dell’anima, un passo verso l’ignoto che porta inevitabilmente alla bellezza della luce.

La musica è un lavoro. MusiCraft lancia la sfida.

LA MUSICA E’ UN LAVORO.

E SE VUOI CHE TI DIA DA VIVERE, NON BASTA SAPERLA SUONARE!

MusiCraft lancia la campagna a sostegno degli artisti emergenti e del mondo musicale.

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 La musica può essere un lavoro se considerato come tale, se affrontato con dedizione, consapevolezza e professionalità.

E’ questo il messaggio chiave racchiuso nella campagna #lamusicaèunlavoro lanciata lo scorso dicembre da MusiCraft, la neonata associazione culturale milanese, vincitrice del bando IC (Innovazione Culturale) 2014 promosso e sostenuto da Fondazione Cariplo.

Una campagna partita sui social network (www.facebook.com/MusiCraftIT) attraverso una photogallery di volti incazzosi – più o meno noti – e un teaser tragicomico, intitolato “Musicisti anonimi” che sulla pagina Facebook ha raggiunto oltre 50 mila visualizzazioni in meno di una settimana. (www.musicraft.it/2014/12/musicisti-anonimi-campagna-video-musicraft/).

Una campagna per diffondere, innanzitutto, una cultura della professionalità in ambito musicale, una cultura che il nostro paese non ha compiutamente metabolizzato e che ci porta a vedere la musica come un hobby, una passione, un’attività accessoria. In secondo luogo, una piccola scossa per provare a superare questo senso di spaesamento e di frustrazione che affligge gran parte degli artisti, soprattutto gli emergenti, ai quali occorre dire: “C’è bisogno di darsi da fare. C’è bisogno di cambiare forma mentis, di comprendere i nuovi modelli di business dell’industria musicale. C’è bisogno di essere preparati. C’è bisogno di adattarsi al cambiamento”.

MusiCraft è un’Associazione d’innovazione culturale che sostiene la crescita professionale dell’artista emergente attraverso formazione su auto-produzione e auto-promozione musicale, in un’ottica di self-management (www.musicraft.it). << Siamo partiti nel settembre 2013 e siamo partiti da un’idea, o forse da un ideale! >> racconta Francesca Pagnini, presidente di MusiCraft. << Grazie al percorso d’incubazione vinto tramite il bando IC (Innovazione Culturale), abbiamo cercato di trasformare l’idea in un progetto. E adesso che abbiamo le risorse necessarie, cerchiamo di renderlo un’impresa culturale a tutti gli effetti! >>. Si, un’impresa. Perché riuscire a costruire una community attiva intorno a un progetto d’innovazione culturale, potrebbe essere un’impresa! Oltre a Francesca Pagnini (cantante professionista e operatrice musicale), fanno parte del team MusiCraft: Claudio Avella (artista di strada, nonché chitarrista della band emergente Koyaanis), Alessandro Cesqui (editore e produttore musicale presso Novunque) e Andrea Rossi (consulente amministrativo e finanziario). 

INFO

Francesca Pagnini

Responsabile comunicazione e web marketing

[email protected]

+39 328.1079137

 

Laik-Oh! – Dietro il mondo (New Model Label)

Estetica elettronica e elettronica in estetica in divenire che fonda caratteri orientali alla vera energia del mondo che si raccoglie in un concentrato di paragoni inutili da segnalare, ma che incidono, inglobano e si divincolano fortemente dal troppo già sentito.

Laik-Oh! è il progetto dei Mantovani Michele Mantovani appunto, Luca Peshow e Mattia Bertosi che dopo numerose esperienze in ambito indie rock si concentrano su una formula astratta di elettronica presente e costante in tutto il disco che con piacere tesse trame inusuali e rende viva più che mai la ricchezza dei sette pezzi presenti nel loro primo album Dietro il mondo.

Un mondo fatto di tanta disillusione e amarezza, cantata come inno Ferrettiano e amabile fino al punto in cui tutto è racchiuso da una potente luce che distrugge e risucchia animi in un vortice senza fine.

E’ questa la caratteristica principale del gruppo e la si può ben sentire nell’apripista Secoli di stragi o in Il racconto dell’uomo deluso, canzoni legate da un filo rosso sottile che ti porta ad entrare nell’antro della terra, tra caos e meraviglie sonore.

Un disco che suona dark in partenza, con virate alternative dub splendidamente incasellate; dove nelle pause, trattenendo il respiro, si può scoprire la vera vita.

Immerso nei prati notturni… (Nova sui prati notturni Paris 1971, Opera mutante # 1 Reloaded, Holodomor, Frank)

Recensire attimi di splendore non è cosa da tutti e nemmeno il pensiero di una galassia distante può comprendere opere che potrebbero essere incomprensibili a detta di alcuni, ma che riempiono in modo esemplare la mente di chi ascolta purista o meno che sia.

C’è un gruppo in provincia di Vicenza che da anni ormai confeziona presenze spettacolari nel ricreare un universo di suoni udibili solo dagli occhi, che intrappola immagini e le riconsegna in formato multicolor, a riempire giorni e a dare speranza.

Partiamo con i lavori un po’ più vecchi, quasi più personali e meno immediati: Paris 1971.

Il lavoro inizialmente chiamato Le soleil quitte ces bords diventata Le soleil Paris e in qualche modo è un’opera completa dedicata alla vita del poeta Rimbaud che man mano si allarga ad abbracciare pensiero, forma e sostanza dell’altro poeta in rock maledetto Jim Morrison.

Otto tracce che si perdono nella rarefazione del momento, del singolo istante che mantengono una quiete costante a ritrovar il sole perduto oltre le nubi grigie e inspessite dallo scorrere dei giorni.

Si cita la polanskiana Tate e la doppia percezione è un intrigo da rimanere assuefatti e contagiati.

Un disco che parla di vita e di morte, glorie e idee vanificate che incanalano delusioni, ma aprono le strade a: Opera Mutante # 1.

nspn+tomatokubiko_frontQui entriamo nel mondo dei Nova e di come io li ho conosciuti.

Possiamo parlare tranquillamente di colonna sonora Lynchiana dove a dirigere il tutto troviamo il Badalamenti di Twin Peaks che con 50 minuti scarsi, divisi in due suite sonore, ci accompagna in campo aperto, dove strutture si intersecano a rilevazioni ambientali tra collaborazioni con l’artista visivo Stefano Bertoncello e lo sperimentatore elettronico digitale Sergio Volpato.

Poesie sonore quindi per paesaggi desertici dove la percezione si fa sostanza solo nel ritrovamento del proprio essere a raccoglier stelle in notti chiare, con parole che non esistono e che a poco servirebbero per raccontare la desolante bellezza di queste composizioni.

La persistenza della memoria nel Dalì pittore tra la campagna vicentina.

I paesaggi si fanno poi meno onirici toccando una realtà tangibile e concreta, fatta di miserie e carestie, dove il legame alla terra e al mondo contadino e rurale è ben rappresentato in Holodomor Ost , colonna sonora per il film / documentario Holodomor, la memoria negata di Manuel Baldini e Fabio Ferrando.

 

Il tema portante è la grande carestia che colpì l’Ucraina nel ’32, ’33 indotta dal governo comunista di Stalin e che vide la morte di milioni di persone, raccontata in modo struggente anche nelle pagine di Igort e dei suoi Quaderni ucraini.

Un disco quindi che parla di macerie mentali, di queste case non è rimasto che un brandello di muro, e i toni si fanno oscuri e introspettivi, melmosi quasi nel raccontare il sangue e a raccontare le distese innevate coperte di corpi e di neve, incanalati dal bianco eterno inglobato da un nero solitario e disturbante.

L’approccio sonoro si caratterizza per arpeggi debitrici di gruppi minimal rock come Low su tutti, tendenti al ridondante in un eterno loop che è la vita da cui non si può sfuggire.

Per ricordare la fortuna se siamo noi a raccontarla.

Vero e proprio disco, successore del già recensito L’ultimo giorno era ieri, è Frank: parabola ascendente sul romanzo di Frankenstein di Mary Shelley che promette di oltrepassare il già sentito per fiondarsi a grande velocità in tenebrosi antri di sperimentazione barrettiana, dove la voce qui è materia viva e vera per fare entrare l’ascoltatore in un pensiero condiviso.

Code è già il senso di tutto questo, di ciò che un giorno l’essere diventerà, il pensiero dunque che si fa fisico, che interagisce e guarda, la genesi dall’elettricità per tentare di dare animo umano allo specchio che sta dentro di Noi.

E poi via a rincorrere sogni che prima o poi svaniranno con il risveglio, i colori in Seven e il finale affidato all’anamorfica Gliese 436b, tra strumentali in post new wave e raffinati finali contorti, ma incisivi e originali.

Un’altra faccia quindi della stessa medaglia, la cover bianca e quella nera, i fiori dei prati e i colori dominanti a rincorrere i Fusch di Corinto in astrazioni sonore che si propongono di immortalare per sempre un concetto.

Un gruppo che sa ascoltare il mondo che lo circonda, che passa facilmente su diversi piani, dando di volta in volta materiale da approfondire, ricercare e inglobare.

Musica quindi, che va ben oltre il significato del termine stesso, in quanto letteratura che si fa percepire in chiave moderna e dove l’essenzialità sta nella cura di ogni singolo attimo, quasi ad identificarsi in ogni parola del più bel libro mai scritto.

 

 

Riva – Le nostre vacanze sono finite (Full Heads/Audioglobe)

Cantautorato sottile, gentile, impreziosito da note di vibrafono convincenti dove la sostanza si esemplifica in pochi accordi di chitarra e dove le note sparse di un rhodes delineano un’atmosfera fiabesca che parla di gioventù, amori da rincorrere e gesti gentili da poter donare.

I Riva, chiusa quella con gli Onirica, si lanciano in una nuova avventura, suonata stavolta in modo ancora più aggraziato, dove strumenti come l’acustica o il pianoforte si mescolano in modo denso a sintetizzatori e basi elettroniche.

Per affinità musicale i nostri assomigliano molto al Veneto Limone, tra incursioni a pioggia e K way che non tengono più l’acqua, confezionando un pop convincente e speciale.

I nostri cercano di accorciare le distanze, lo fanno dichiaratamente per far emergere un loro pensiero, se non altro per abbattere i costrutti su cui è posta e su cui vive la nostra malata società.

Ecco allora il ritorno alla quiete e a i ritornelli da cantare senza fragore, un ritorno all’essenziale e ai suoni da inglobare in un percorso ben preciso.

L’album, registrato presso lo Studio Jacuzi di Giuliano Dottori, si smarca completamente dal già ascoltato creando un’essenza che alle orecchie è quasi magia; perché l’uomo si è inventato tutto, senza risolvere mai niente anche se nel loro piccolo, i Riva, una strada migliore, la stanno già inseguendo.

Volumi Criminali – Frammenti d’istanti (VHSR)

Volumi Criminali FRAMMENTI D’ISTANTI Sporcati di tagli netti resi ancora più energici da chitarre graffianti e non celate che si distinguono per uno stoppato clamoroso che ricorda gli anni ’90, i primi anni ’90, tra incursioni sonore alla Korn e RATM.

Qui però c’è un’evoluzione del tutto, perché le sei canzoni presenti in Frammenti d’istanti, nuovo album di Volumi criminali, si accollano l’immancabile energia strizzando l’occhio allo stoner più arrabbiato e lisergico, tanto da poter definire una nuova zona di confine su cui espandersi e creare una cerchia di propri adepti e seguaci.

Il tutto cantato in un italiano convincente, che ben lega, nonostante il genere e dove la voce di Francesco Ratti si fonde e si lascia coinvolgere dalle incursioni melodiche di Emanuele Pecollo.

Un nome e una garanzia quindi tra incursioni nu metal e profondi attimi di silenzio, dove al cervello è concesso di pensare solo per un istante, solo per un attimo ancora.

Un Ep ben confezionato e perfetto per gli amanti di genere, una via italiana al NuMetal che resiste e incrementa attimi di follia in testi che parlano di solitudine, distacco e abbandono, tra stacchi futuristici e rimandi al passato come la Ferrettiana Forma e Sostanza.

Loris Dalì – Scimpanzé (Autoproduzione)

Cantautore torinese che con un gusto alquanto sottolineato per la musica d’autore italiana si cimenta in una prova completa, intima e veritiera.

Un disco in presa diretta per sottolineare l’eleganza e l’entusiasmo di un progetto che vede la collaborazione di numerosi musicisti, suonatori di strumenti come il violino e l’udu, lo scacciapensieri e il basso tuba, fino ad arrivare alla fisarmonica: una commistione di generi che intinge le radici nel De André più introspettivo per raccontare come si vive in Italia.

Un racconto fatto di pensieri e di speranze racchiuse da 12 preziosissime perle che alle volte fanno riflettere, altre invece fanno sorridere, perché Loris conosce molto bene il significato della parola disincanto e la sa utilizzare al meglio in ogni occasione.

Un disco quindi quasi autobiografico, ma che potrebbe narrare tranquillamente la storia di tutti, tra disillusione  e perdita del lavoro, tra conformismo e inutilità del materiale.

Un album magistralmente suonato e inusuale che si avvicina di molto, soprattutto nei live, al cabaret, sognando di amori impossibili e stelle da raggiungere, senza forse sapere che tutto questo alla fine è dentro di Noi.

Thomas – Fin (SeahorseRecordings)

Se devo proprio paragonarli a qualcuno i Thomas per capacità d’azione ricordano i primi MGMT tanto la loro propensione si affaccia ad uno stile che non è incasellabile, ma anzi può essere da spunto per un nuovo, vero, genere musicale.

Fin è un album psichedelico racchiuso da una vivacità sonora che esalta le caratteristiche di poliedricità della band piemontese che alla seconda prova da studio si concede di esplorare ancora più in profondità il subconscio umano fino ad entrare nei pensieri creando un funky Groove per palati da intenditori.

Ascoltare Fin è come ascoltare i grandi album che hanno fatto la storia della musica, ballate caratterizzate da una eterogeneità sconvolgente, ma che nel contempo si apprestano a creare un filo conduttore, una guida rassicurante tra il sogno e la realtà in un condensato sonoro di notevole spessore.

La parte goliardica però è sempre presente e i nostri sono in grado di portare ad un livello di seriosità notevole canzoni come Masturbation fino ad approdare alla riflessione sonora in sprazzi di marcata eleganza come in Miracolo Italiano, passando per le introspezioni di Nine o’clock o nelle bellezze scintillanti di April Fool.

Un disco ricco, pieno di spunti e carico di vivacità, capace di consegnare all’Italia una realtà consolidata e meritevole di successi immediati.

Kiran – Kiran (Autoproduzione)

 

Suoni energici che attingono direttamente la loro linfa vitale in un new wave rock di matrice anglosassone post ’80, questi sono i Kiran e vengono da Oderzo in provincia di Treviso.

Nel loro suono, come tengono a precisare, non c’è nulla di digitale, ma solo manipolazioni analogiche a ricoprire substrati di potenza sonora condensata all’interno di suoni futuristici seppur passati, ad infittire trame e a movimentare la scena.

Tre canzoni che parlano da sole 40 Degrees, Red Spiders’mite e Days of the breeze a cui fanno eco digressioni sonore ai primi Sonic Youth, toccando Bowie e la scena post rock tedesca.

Un’autoproduzione sincera e ben calibrata, al passo con i tempi e con suoni ricercati quanto basta per non passare inosservata.

Un gruppo quindi in evoluzione che si sta preparando il terreno, in attesa di una nuova Primavera.