The Secret Tape- The Secret Tape Ep (Area Pirata Records/White Zoo Records)

The Secret Tape 7" Ep cover art

Sei canzoni brucianti di puro punk roll facendo il verso agli anni ’60 del surf, dove le chitarre venivano suonate dal sudore più che dalle dita, in un vortice di emozioni e disinteresse verso un mondo che stava per cambiare.

Sfrontati quindi, ma anche generosi, instancabili da un’attitudine garage rock low-fi che incrementa il sapore nostrano per un Panda Kid o per Miss Chain and the broken heels in un continuo sonoro disinteressato alle buone maniere, ma legato alla sostanza.

Velocità sonora e pezzi che parlano di tempi andati a riscoprire quella musica che si affacciava nella nostra Italia, quasi con timidezza, mentre nel nuovo continente faceva vittime su vittime, giorno dopo giorno.

Freschi e genuini quindi i nostri Secret Tape da Parma fanno poche cose, ma le fanno bene, in una grazia melensa e ammiccante quasi a voler dire, meritatamente, ci siamo anche Noi.

 

Stereochemistry – Ruins in Bloom (Autoproduzione)

Karla Hajman sa osare ancora una volta, dopo le precedenti prove: Vagabond Cabaret, The Archive Box e SWEEP il nuovo Ruins in Bloom ci trasporta in una dimensione quasi infantile, dove una voce particolare si immedesima con piante da appartamento poco curate che in un batter d’occhio si intersecano in un corpo che proviene esso stesso dalla terra in divergenze sonore alla Bjork e fiori in esplosione post moderna che sono li pronti ad esplodere ancora una volta per ricoprire pavimenti di poesia sonora in divenire.

Suoni inusuali quindi che lasciano prendere in giro forme sonore sbilenche e poco incasellate in generi, una voce volutamente particolare e tanta classe da poter spendere in questo disco dal sapore minimale, ma che contiene tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Si scherza sulle piccole cose della vita tra Comaneci e minimalismo acustico dove i sentieri si fanno meno battuti ecco che una luce ci guida lungo il cammino da seguire, mai banale, mai racchiuso in una scatola, ma sempre libero e affamato di vita.

Un percorso che la stessa Karla ha compiuto e continua a compiere tra Belgrado e Vicenza, Padova e Stoccolma, passando per Barcellona, Berlino e Londra, luoghi da dove attingere nuove influenze e coraggiose scelte in un progetto di ampio raggio internazionale che ha come fulcro centrale il mondo intero.

Un disco quindi che suona energico nella sua piccola bellezza perché racchiude la forza di una donna e del suo pensiero.

 

Roslyn – Gocce (Autoproduzione)

Concept album sull’acqua che prende forma estrapolando direttamente materia sonora dalle nuvole che in un ciclo continuo rigenerano fonte di vita.

Un disco di indie rock campionato e suonato in divergenze elettroniche pronte a colpire quando meno te lo aspetti ricordando i primi La Crus e mescolando il cantautorato sofferto alle incursioni new wave che si mescolano in modo egregio e dirompente.

Tre componenti Enzo de Gennaro alla voce, Nazario Vigilante alla chitarra e alle programmazioni e Eleonora Russo al basso, che danno vita ad una piccola opera racchiudendo esperienze ed energie diverse, intrise di una lirica mai scontata e elegantemente costituita parte integrante di un qualcosa di più grande e ammirevole.

Prova superata quindi che parte con il singolo di debutto Nebbie per concludersi con l’elettronica di Bonsai passando per L’Alba, una nuova nascita, una rinascita che dona freschezza sonora al tempo che deve ancora arrivare, avvolgendo il tutto con pioggia colante lacrime in un proseguo di meraviglia Kuntziana.

Paolo Bernardi – Impressions (Sifare Edizioni Musicali)

Paolo Bernardi con questo nuovo lavoro confeziona la nostalgia per un passato che non c’è più a ricercare passioni di velluto impresse in fotogrammi dal sapore di un bianco e nero rappreso da rami avvolgenti in distese di campi abbandonati all’inverno.

Un viaggio attraverso i boschi della memoria, in bicicletta, dove il vento ti invade la faccia e dove i sentieri ad un tratto si fanno meno sicuri e poi il ricordo di Tullia, al tempo passato assieme forse, a quell’essere giovani in un’altra era, in un’altra epoca dove i fiori per miracolosa magia rimanevano vivi allo scorrere dei giorni.

In questo disco ci sono le improvvisazioni jazz a cui il pianista ci aveva già abituati, ma c’è anche molto minimalismo a sancire quella corrente emozionale che non ha mai fine.

Notevoli inoltre le leggere incursioni sonore in elettronica di derivazione sotterranea del fratello Fabio che chiude un cerchio fatto di pensieri e note.

Un album ricco, una colonna sonora che si permette di citare cover deliziose come Yesterday dei Beatles o Song for Eia di Michael Jones, un disco da riascoltare più volte in un eterno divenire di correnti post moderne.

 

Mandrake – Dancing with Viga (Riff Records)

Cantautorato per stanze scarne che si intromette e finemente si immola con stato di grazia a ricreare momenti di pura poesia dove gli abbracci sono fotografie da mantenere nel tempo e dove la pura bellezza fatta da strumenti prettamente acustici, scansa l’inutile per lasciare posto all’eternità.

Con i Mandrake si ascolta prepotentemente un Damien Rice in punta di piedi che dialoga sul futuro con Glen Hansard, fino a far esplodere voci femminili in un turbinio di colori che coinvolge e convince.

11 pezzi d’amore, dove la voce di Giorgio Mannucci si concede ai silenzi delle parti strumentali, perfettamente allineate ed emozionanti quanto basta per mantenere l’intero disco su di un livello che non risulta essere statico, ma dove la forma canzone prende il sopravvento.

Un album per cuori solitari, per baci rubati e amori nascosti, quasi fosse uno spiraglio per uscire dalla quotidianità, come una ventata d’aria fresca che sa più di internazionalità che di italianità ripetitiva; prova convincente dunque dal sapore di miele e dal cuore sincero.

 

Leitmotiv – I vagabondi (La Fabbrica/Pelagonia Dischi)

Un disco di rock italiano, un disco che parla però di emarginazione e punti di sutura da dare alle ferite del tempo, a quelle ferite che potrebbero essere anche tranquillamente nostre, punti di sutura da dare al nostro cuore che tante volte non vede ciò che ci sta attorno.

I Leitmotiv ricreano l’idea del concept album partendo da un pensiero che parte dalla strada, dalla nostra parte più profonda, un passo nel baratro, in punta di piedi, per non cadere e poi inesorabilmente ci ritroviamo lì tra gli ultimi del mondo, ci immagazziniamo le immagini di Ad occhi chiusi per tentare di resistere, scopriamo che non abbiamo Niente da perdere sulle strade di Milano, quella città falsa di vizi e opprimente, dove piovono coriandoli e dove non abbiamo più nulla da perdere e allora il viaggio per riscoprirci Marinai di noi stessi in un vento tempestoso che stenta ad affievolirsi.

Dieci canzoni ben suonate dove tutto acquista un senso e dove la poetica criptica sfida un’idea di realtà che va ben oltre l’immaginazione.

Questo sono i Leitmotiv e questo è il loro mondo.

 

Johnny Mox – Obstinate Sermons (Woodworm/To lose la track)

Il reverendo Mox è tornato, tutti in Chiesa a pregare e a dire che il mondo va bene, così come lo conosciamo, intrappolato in sature distanze compresse da meccaniche di suoni e asettici mondi privi di importanza.

L’industrial e le voci sono molto presenti, ti avvolgono e riescono a farti entrare in un universo gospel-predicato dove la voce punk distruttiva si intreccia al miglior James Blake, valorizzando un cantato corale gridato e predicato, nutrito da chitarre distorte in crossover e da un fragore sottolineato lungo le nove canzoni.

Traccia dopo traccia ci si accorge che la curiosità della proposta ben lega con i tempi che stanno per cambiare e ad indicarlo sono pezzi di instabilità emotiva racchiusi da altrettanta capacità visionaria intrappolata in concretezza come War Sermon e The Winners.

Un disco che si oppone a qualsiasi legge di mercato e che imperterrito prova a cambiare, partendo dalla musica, il pensiero diffuso.

I Gazebo Penguins inoltre contribuiscono all’innalzamento spirituale del reverendo Mox, in un live che potrebbe essere sinonimo di rinascita per commistione e uso dell’idea dominante.

Provare per credere.

 

Della Vita della Morte – Della Vita della Morte (Eclectic Circus Records)

Max Zanotti si reinventa e con il produttore Dj Mike concede la trasformazione del cantautorato tramando un tessuto contorto di hip hop e dance che si scratchizza in testi di amore e disperazione in una continua ricerca dell’immaginato, di un contesto sociale da ridefinire e da delineare in attesa che la buona stagione ritorni a programmare ciò che era stato dimenticato.

Anche in questo disco sono numerose le collaborazioni: il rapper Rancore in Geniocidio, Dj Aladyn in Sembri che io voli via, Elisa Begni alla voce in Qui mi fate male e Dj Lato in Nuvole di pietra.

Storie quindi impossibili raccontate in un sound di derivazione black che si immola ad essere sostanza vitale per il cambiamento futuro, un substrato elegante e ben calibrato dove i suoni non sono li posizionati secondo un caos preesistente, ma si trovano a concretizzare un’idea di innovazione e creatività che non ha precedenti.

Un disco quindi in cui si respira un’internazionalità naturale, nata dall’unione di generi che in Italia si concedono solo in parte mentre nell’album trovano una naturale prosecuzione verso un cammino di denuncia, ma anche di radiosa luce da conservare per il prossimo miracolo musicale.

 

Can of Soul – Hearreality (Atomic Stuff Records)

Mi ricordano i Vanity e mi ricordano gli Opeth quei defrag in minore che mi fanno impazzire nonostante la rabbia portante in queste canzoni.

Can of Soul è il progetto solista di Tomas “Tomrocker” Toffolo che avvalso di musicisti professionisti per questa opera hard rock si concede di delineare un assetto temerario e che a colpi di graffianti chitarre si divincola e riesce a ricreare un mondo fatto di sogni infranti e speranza, ricomposta dalla quotidianità che deve essere spunto per ripartire ricreando qualcosa di nuovo e di convincente.

Ecco allora che si parte, per lo spazio, alla ricerca di territori da visitare tra elettronica e alternative che si incrociano in modo magistrale per raggiungere picchi elevatissimi di qualità sonora e convinzioni che vanno ben oltre alle apparenze fino a ricreare un mood che rapisce e ti rende partecipe dell’esperienza.

Un disco quindi ben suonato e che ti rende dipendente fino all’ultimo ascolto, quell’outro emozionale che è sinonimo di ritorno, forse, anche senza essere mai partiti.

Carolina Da Siena – Klotho (Piccola Bottega Popolare)

 

Entrare e scoprire che il mondo non è più quello di una volta, stupirsi per l’elemento portante che in qualche modo si sta facendo trasportatore di una fine che potrebbe essere l’inizio di qualcosa; una ragazza in pensiero a guardare un cielo rosso dal tramonto soffocante mentre tutto brucia sia fuori che dentro come non ci fosse più speranza o aspettativa per il domani, ecco allora che le note rock incutono e si aprono, accolgono in distorsioni sonore tese all’abbraccio finale, alla riconciliazione sognata, quasi fosse un finale a cui sperare sempre e comunque.

Il nuovo disco di Carolina Da Siena è un pugno allo stomaco sul domani e sulle speranze che abbiamo perso, è un disco sulla rabbia e l’abbandono e il quieto vivere che inesorabilmente si sta sgretolando sotto ai nostri piedi, noi poveri umani convinti che la morte non ci farà mai visita.

Una Dolcenera più sgraziata, capace di comunicare e di entrare tra ballate oscure e testi al cardiopalma, mentre fuori il mondo sta cadendo a pezzi e la rabbia incanalata è lì su di un piccolo palco, imbracciando una chitarra acustica e masticando parole che a cascata fanno rumore.

11 brani di amore e morte, senza scuse e senza rimpianti, Carolina è solo un’anima scarna che si riempie di luce.