Kaufman – Le tempeste che abbiamo (Irma Records)

Abbracciare frontiere, un turbinio appartenente al vortice di quell’indiepop fatto e suonato bene che conquista al primo ascolto; parole ricercate si divincolano in modo preponderante in una tempesta atomica di polvere di stelle.

Le sciagure sono elencate, le sciagure però non abitano nella musica dei Kaufman, tutto suona impreziosito nell’etere, un passaggio obbligatorio verso mondi lontanissimi e che ti accarezzano piano piano.

Note di un piccolo armonio da cucina,  preso in prestito dai ricordi più nascosti, dove i pensieri si alzano e si contraddistinguono, vivono e crescono di luce propria.

La presenza di Alessandro Raina (Amor Fou) si sente nell’intera fase di produzione anche perché il suono si colloca molto facilmente vicino all’opera I moralisti di quest’ultimi: intelligente modo di trasportare l’essenzialità in un progetto di gran respiro.

I pezzi poi parlano da soli, in bilico tra un Graziani (Ivan) dei tempi migliori e di un Umberto Giardini ancora nel sensato Moltheni, accarezzando rose di un colore intenso e delicato, petali che si sovrappongono per insegnare a vivere ancora un volta.

Alieni disorienta delegando il passaggio dell’abbandono a Modigliani, crisi di certezze poi in Il manifesto struggente di giovani vampiri che cerca esigenze compiute di mondi lontani in Astronauta per passare alla ballata emozionale  Santa kryptonite.

Ancora i passaggi temporali in un Aprile immaginato lasciando ciò che resta nel country di La mia piccola rivoluzione francese, coronando il finale con Gotham: la loro oceano di gomma.

Un band di carattere che con grazia conquista al primo ascolto, chitarre mai gridate e voci sussurrate per l’ennesima conquista dei Kaufman, tra sortilegi dei primi ’90 e la classe cristallina di chi vive nel mondo di oggi.

Distinto – Le stanze (Autoproduzione)

Piglio sbarazzino e voce accentuata per l’esordio del duo Distinto composto da Daniele Ferrazzi alla chitarra e da Daniela D’Angelo alla voce.

Un’impostazione prettamente pop, esaltata da mixing e Mastering di Paolo Perego (Amor Fou) che ricorda il lungo divenire dei giorni e del tempo che passa, il tutto è colorato, accentuato dalla bellezza dei testi che si esplicano in un continuo movimento, un battere d’ali proteso, un fluire di giorni, istanti e pensieri.

4 pezzi questi, piccole istantanee delicate e coronate da un’armonia disarmante, accesa e mai banale, dal sapore radiofonico, ma di matrice indie, in cerca di sbocchi per stupire.

Santa Caterina in puro slide è l’emblema del disco: dissacrante e leggera che passa il testimone a Meglio classic ballad dal sapore dolce amaro, i toni si fanno onirici in Settembre che carica l’energica Camminare; un cammino perenne che non cerca mete, ma solo porti sicuri.

Un ep caratterizzato da una forte connotazione in fatto di capacità stilistica, che riesce sempre ad aggiungere un qualcosa rispetto al già sentito e forse sta proprio qui il loro gusto, la loro capacità di Distinguersi.

Santo Barbaro – Geografia di un corpo (diNotte Records)

I SantoBarbaro si concedono la sperimentazione oltre la sperimentazione, se il precedente Navi avevo fatto presagire un percorso sempre in continua ricerca con questo nuovo Geografia di un corpo i nostri rivoluzionano i suoni, aumentano le temperature, innestano energia dove i tratti vitali rappresi e contorti sembravano morti.

Si parla di bellezza, di una bellezza al confine, una copertina in cui prove di contorsionismo si trasformano in attimi di poesia calcarea e marmorea, un incipit al fulmicotone che si lascia abbandonare a sostanziali onde di disincanto: un gelato rintocco, un sorriso quasi velato.

Ecco allora che Lacrime di androide è preziosa energia che porta al compimento un disco maturo ed elegante che ci trasporta a sonorità soffocanti e ipnotiche in pezzi come Cosmonauta o La necessità di un’isola passando per l’apertura punk elettrica di Corpo non menti.

I toni si fanno poi Kuntziani in Finche c’è vita continuando racchiudendo forse il pezzo più introspettivo e romantico di tutto il disco Ti cammino dentro che ricorda, a tratti, del precedente disco, Prendi me.

Sono lame rotanti queste canzoni che ti tagliano e ti assorbono, come corteccia che trae nuova linfa per future fioriture, non a caso compare anche Tra gli alberi, composizione tratta dall’agiografia di alcuni santi e profeti cristiani che porta al finale una semi post rock strumentale In memoria di nessuno.

Disco meraviglia, che stupisce e si amplifica, dona e sorprende nella sua eterogeneità e nella sempre cara e importante presenza di contenuti non trascurabili.

Una prova dunque dal sapore etereo, che si può definire meta di qualsiasi forma di comunicazione musicale.

Il Rondine – Può capitare a chiunque ciò che può capitare a qualcuno (La fame dischi)

Le canzoni migliori le aiuta la fame e questo è proprio il caso di dirlo, Il Rondine, vero nome Claudio Rossetti, classe 85, confeziona, grazie all’aiuto del concorso annuale indetto dalla nota etichetta indie italiana, un disco pienamente convincente e del tutto originale.

La formula è quella semplice del cantautorato, ma nel complesso il tutto suona alquanto ricco e costruito, costruito attorno ad una mongolfiera, ad un pallone circense pronto a salire in alto e raccontando in modo ironico vizi e virtù di un popolo in declino, abbandonando lo stile della forma canzone e lasciandosi andare a sperimentazioni e cure dei particolari non sempre facili da trovare in un album d’esordio.

11 tracce sarcastiche che parlano della vita di tutti giorni, conquistata e sofferta, vissuta e non sempre compresa, relegando il giusto posto ad ogni cosa e facendo entare nella mente di chi ascolta, un mondo, il mondo di Claudio e della sua costante ricerca di un volo atto a raccimolare nuove storie da vivere.

Si pensi ai fatti narrati in Pregiudizio su Sergio o La fine di uno scarafaggio, passando per La settima differenza, sono tutti attimi di vita regalati, sudati e vissuti, concentrati in parole e termini che entrano dentro e mai più se ne vanno.

Un cantautore dal forte talento che si innalza facilmente e nello stesso tempo facilmente plana a toccare ciò che ancora è reale, facendo si che questo reale diventi vita da raccontare.