Pentasia – Cartapesta (VRec)

Un album in divenire, il primo album dei Pentasia, rock band Veronese, che nel loro esordio estrapolano un suono vincente e convincente non relegato semplicemente ad una costante da porre sul mucchio di dischi che escono giornalmente, ma che si differenziano per capacità espressiva.

Il suono pecca di un qualcosa di già sentito, ma nel complesso il gruppo è affiatato e convince, sia per situazioni create sia per varietà stilistica nella scelta delle parole e dei testi che parlano di stati d’animo incompresi, di amori lontani e di terre ancora da scoprire.

La voce di Genny ricorda per sonorità le classic women targate ’90 e il suono si fa sferzante di elettricità e passione in pezzi come Isterica modernità o in Cristalli nell’aria passando nel finale alla ballata per pianoforte Piccolo notturno.

In mezzo a tutto questo ci sono le stagioni, i piccoli momenti, le vite vissute e i cambiamenti, in mezzo c’è una copertina che è una vera e propria opera d’arte firmata dall’illustratore veronese Andrea dalla val e ancora ci sono i Pentasia che sanno costruire trame di vita sottile nel frastuono di ogni giorno.

Valentina Mattarozzi – Vally doo (Sanlucasound/Edel)

Valentina ha classe  e talento da vendere, una voce inconfondibile nel panorama del blues italiano, forse l’unica in grado di arrivare a certe altezze senza aver paura di cadere giù, senza che la vertigine la porti in un mondo lontano da lei.

Valentina è vita gridata, è ornamento di un qualcosa di più grande e sincero, una sincerità espressa in nove tracce, che dovevano essere delle cover, ma che si sono trasformate in poco tempo in pezzi originali donati da amici musicisti con cui condivide il cammino.

Proveniente da Bologna, Valentina riesce a mescolare in modo superbo uno stile inconfondibile, il pop con il cantautorato degli anni che furono, la pazzia del jazz e la sensualità del blues.

Vally doo, la title track, riesce a convincere  e a racchiudere tutto il suo mondo, tutto il suo bagaglio musicale che si fa fiume, che si fa sole, che si fa vita.

Le canzoni si fanno poi portatrici di un sound accattivante, tra pennellate di costanza e singoli da classifica come Tra i colori dell’amore con la presenza di Vi Gù, la voce di Iskra Menarini in No lies, la chitarra acustica di Bruno Mariani (Lucio Dalla) in Ad ogni costo e ne il Tempo di morire, per concludere con la presenza di Teo Ciavarella in Nebbia.

Ecco allora che le note prendono il sopravvento e la certezza illumina la strada, una cantautrice unica nel panorama della nostra musica leggera, che unisce l’ironia alla caparbietà, la fatica al risultato, il tutto concentrato in pochi attimi di respiro.

Non Giovanni – Ho deciso di restare in Italia (IRMA Records)

Immaginatevi un disco di un ragazzo degli anni ’50 e la sua valigia di cartone pronto a cercare fortuna girando il mondo, una fortuna che potrebbe essere dietro l’angolo, una fortuna da costruire.

Un cantautore con la C maiuscola, si ride, si piange, ci si prende in giro, si raccolgono i momenti per partire e poi si decide di restare in Italia.

Si rimane per raccontare, si rimane per cambiare, l’inesorabile declino che respiriamo ogni giorno sotto numerosi punti di vista, anche quello musicale, sembra essere motivo di sfogo, motivo di interesse per quei cantautori che osservano i cambiamenti, li studiano e ne fanno materia prima per componimenti sbilenchi, ma ricchi di quella genuinità ed analisi che ancora oggi risulta essere merce rara e preziosa.

Giovanni Santese, in arte Non Giovanni, stupisce anche perché le carte mescolate in questo nuovo disco sono molte, differenti e variopinte, pensate solo agli interventi di elettronica presenti nello stesso che fanno presagire cieli sfumati d’azzurro anche sotto acquazzoni primaverili.

I sogni che si fanno sono il sunto di un mondo onirico, spiazzante, di citazioni folcloristiche; un percorso che si apre e si chiude con Ho deciso di restare in Italia, il pensiero che si fa viaggio e poi ritorno.

Ecco allora che l’analisi si sofferma sul modo di rifarsi, quasi un riscatto, l’autodeterminazione di potercela fare e poi via a correre giù per la discesa che ti porta al Paese natio, dove possiedi i ricordi più cari; lo vedete ora quel ragazzo con la valigia di cartone? Si si sta sorridendo proprio a Voi.

 

 

Four Green Bottles – Step (IRMA Records)

Padovani, alternativi quanto basta per accogliere fiori da far rinascere e da far rivivere grazie alle sette tracce che compongono il loro nuovo lavoro.

Un’unione inusuale di generi che si intersecano in armonie del tutto portatrici di un sound energico e sinceramente pronto a sorprendere, a emarginare l’inutile per dare un senso al dovere, al prototipo di ciò che potrebbe essere buono ai nostri tempi.

La facilità d’ascolto che si ha con i Four Green Bottles si associa a band dalla spiccata internazionalità, incrociatori sonori per animi che esaltano il riemergere, un indie rock compresso e pronto all’esplosione.

Spiriti affini li troviamo in qualcosa dei primi Staind o Nickelback, passando per la cometa inespressa degli Starsailor.

Un suono quindi che coinvolge già dalle prime battute con Hurricane passando per la ballata My Home interrotta dalla convincente Wind che anticipa la post punk You live what you feel.

Buona prova inoltre in Ora Che, pezzo cantato completamente in italiano anche se la vera simbiosi si trova con la lingua inglese, quasi fosse un costrutto a cui non poter rinunciare, ne è esempio lampante nel finale la meditativa Hands.

Un disco autunnale di foglie da raccogliere tra boschi infiniti in cui poter rompere il silenzio con una folata di vento.

 

Kaufman – Le tempeste che abbiamo (Irma Records)

Abbracciare frontiere, un turbinio appartenente al vortice di quell’indiepop fatto e suonato bene che conquista al primo ascolto; parole ricercate si divincolano in modo preponderante in una tempesta atomica di polvere di stelle.

Le sciagure sono elencate, le sciagure però non abitano nella musica dei Kaufman, tutto suona impreziosito nell’etere, un passaggio obbligatorio verso mondi lontanissimi e che ti accarezzano piano piano.

Note di un piccolo armonio da cucina,  preso in prestito dai ricordi più nascosti, dove i pensieri si alzano e si contraddistinguono, vivono e crescono di luce propria.

La presenza di Alessandro Raina (Amor Fou) si sente nell’intera fase di produzione anche perché il suono si colloca molto facilmente vicino all’opera I moralisti di quest’ultimi: intelligente modo di trasportare l’essenzialità in un progetto di gran respiro.

I pezzi poi parlano da soli, in bilico tra un Graziani (Ivan) dei tempi migliori e di un Umberto Giardini ancora nel sensato Moltheni, accarezzando rose di un colore intenso e delicato, petali che si sovrappongono per insegnare a vivere ancora un volta.

Alieni disorienta delegando il passaggio dell’abbandono a Modigliani, crisi di certezze poi in Il manifesto struggente di giovani vampiri che cerca esigenze compiute di mondi lontani in Astronauta per passare alla ballata emozionale  Santa kryptonite.

Ancora i passaggi temporali in un Aprile immaginato lasciando ciò che resta nel country di La mia piccola rivoluzione francese, coronando il finale con Gotham: la loro oceano di gomma.

Un band di carattere che con grazia conquista al primo ascolto, chitarre mai gridate e voci sussurrate per l’ennesima conquista dei Kaufman, tra sortilegi dei primi ’90 e la classe cristallina di chi vive nel mondo di oggi.

Distinto – Le stanze (Autoproduzione)

Piglio sbarazzino e voce accentuata per l’esordio del duo Distinto composto da Daniele Ferrazzi alla chitarra e da Daniela D’Angelo alla voce.

Un’impostazione prettamente pop, esaltata da mixing e Mastering di Paolo Perego (Amor Fou) che ricorda il lungo divenire dei giorni e del tempo che passa, il tutto è colorato, accentuato dalla bellezza dei testi che si esplicano in un continuo movimento, un battere d’ali proteso, un fluire di giorni, istanti e pensieri.

4 pezzi questi, piccole istantanee delicate e coronate da un’armonia disarmante, accesa e mai banale, dal sapore radiofonico, ma di matrice indie, in cerca di sbocchi per stupire.

Santa Caterina in puro slide è l’emblema del disco: dissacrante e leggera che passa il testimone a Meglio classic ballad dal sapore dolce amaro, i toni si fanno onirici in Settembre che carica l’energica Camminare; un cammino perenne che non cerca mete, ma solo porti sicuri.

Un ep caratterizzato da una forte connotazione in fatto di capacità stilistica, che riesce sempre ad aggiungere un qualcosa rispetto al già sentito e forse sta proprio qui il loro gusto, la loro capacità di Distinguersi.

Santo Barbaro – Geografia di un corpo (diNotte Records)

I SantoBarbaro si concedono la sperimentazione oltre la sperimentazione, se il precedente Navi avevo fatto presagire un percorso sempre in continua ricerca con questo nuovo Geografia di un corpo i nostri rivoluzionano i suoni, aumentano le temperature, innestano energia dove i tratti vitali rappresi e contorti sembravano morti.

Si parla di bellezza, di una bellezza al confine, una copertina in cui prove di contorsionismo si trasformano in attimi di poesia calcarea e marmorea, un incipit al fulmicotone che si lascia abbandonare a sostanziali onde di disincanto: un gelato rintocco, un sorriso quasi velato.

Ecco allora che Lacrime di androide è preziosa energia che porta al compimento un disco maturo ed elegante che ci trasporta a sonorità soffocanti e ipnotiche in pezzi come Cosmonauta o La necessità di un’isola passando per l’apertura punk elettrica di Corpo non menti.

I toni si fanno poi Kuntziani in Finche c’è vita continuando racchiudendo forse il pezzo più introspettivo e romantico di tutto il disco Ti cammino dentro che ricorda, a tratti, del precedente disco, Prendi me.

Sono lame rotanti queste canzoni che ti tagliano e ti assorbono, come corteccia che trae nuova linfa per future fioriture, non a caso compare anche Tra gli alberi, composizione tratta dall’agiografia di alcuni santi e profeti cristiani che porta al finale una semi post rock strumentale In memoria di nessuno.

Disco meraviglia, che stupisce e si amplifica, dona e sorprende nella sua eterogeneità e nella sempre cara e importante presenza di contenuti non trascurabili.

Una prova dunque dal sapore etereo, che si può definire meta di qualsiasi forma di comunicazione musicale.

Il Rondine – Può capitare a chiunque ciò che può capitare a qualcuno (La fame dischi)

Le canzoni migliori le aiuta la fame e questo è proprio il caso di dirlo, Il Rondine, vero nome Claudio Rossetti, classe 85, confeziona, grazie all’aiuto del concorso annuale indetto dalla nota etichetta indie italiana, un disco pienamente convincente e del tutto originale.

La formula è quella semplice del cantautorato, ma nel complesso il tutto suona alquanto ricco e costruito, costruito attorno ad una mongolfiera, ad un pallone circense pronto a salire in alto e raccontando in modo ironico vizi e virtù di un popolo in declino, abbandonando lo stile della forma canzone e lasciandosi andare a sperimentazioni e cure dei particolari non sempre facili da trovare in un album d’esordio.

11 tracce sarcastiche che parlano della vita di tutti giorni, conquistata e sofferta, vissuta e non sempre compresa, relegando il giusto posto ad ogni cosa e facendo entare nella mente di chi ascolta, un mondo, il mondo di Claudio e della sua costante ricerca di un volo atto a raccimolare nuove storie da vivere.

Si pensi ai fatti narrati in Pregiudizio su Sergio o La fine di uno scarafaggio, passando per La settima differenza, sono tutti attimi di vita regalati, sudati e vissuti, concentrati in parole e termini che entrano dentro e mai più se ne vanno.

Un cantautore dal forte talento che si innalza facilmente e nello stesso tempo facilmente plana a toccare ciò che ancora è reale, facendo si che questo reale diventi vita da raccontare.

Non – Sacra Massa (Garage Records/El-Sop)

I NonviolentateJennifer già recensiti in queste pagine tempo fa si trasformano e fanno della ricerca del suono la loro arma vincente.

Ora si chiamano semplicemente Non e dopo aver già visto e sentito le potenzialità nella loro precedente autoproduzione, i nostri ci regalano un ep che non è un ep per loro volontà, ma un disco completo, composto da un suono oscuro dove il rifiuto del mondo in cui viviamo è la rappresentazione più viva di una stagione in divenire.

Un power trio compatto e granitico, un suono viscerale, compresso, esasperato da distorsioni e urla che si trasformano e ci rendono partecipi della catastrofe a cui stiamo assistendo.

E proprio di questo i Non parlano, della distruzione quotidiana di ciò che ci circonda, noi essere umani-non umani attaccati ad un filo d’erba per sopravvivere.

Ecco allora che il cantato di Andrea Zingoni si dimena tra follie di basso suonato da Massimo Leggieri e la batteria di Alvaro Buzzegoli, un genere che non richiede le mezze misure, un genere che mette alla prova, che si fa ascoltare e che ci fa reagire.

Una reazione che deve essere l’unica nostra arma alla crisi che stiamo affrontando, una negazione, quel Non, compreso da due opposti il bene e il male, specchio di un mondo che non vede altre sfumature.

Alia – Asteroidi (NeverLab dischi)

Passo dopo passo, silenzio dopo silenzio si entra in modo quasi naturale nel mondo di Alia.

Un mondo fatto di piccoli gesti, piccoli oggetti e piccole passioni che si aprono all’ascolto, si aprono al vento che trascina queste 11 tracce di immacolata bellezza verso un orizzonte sempre nuovo e mutevole.

E’ bello sentirsi parte di questa musica, non gridata, non inacidita da chitarre distorte, ma una musica che si lascia toccare in un continuo e mutevole cambio delle stagioni.

Questo è un disco che parla di un universo che ancora non comprendiamo, forse Alia ha la chiave per scoprire e riscoprirsi o forse le mie sono solo supposizioni, di certo il suono che ne esce è pura esigenza di esprimersi che incrocia Sinigallia e Tiromancino, passando per Amor Fou e incanalando quel cantautorato italiano ispirato e mai banale in cui testi onirici si contorcono nella vera e cruda realtà.

I compagni di viaggio sono molti da Giuliano Dottori a  Cesare Malfatti passando per Raffaella Destefano che dona la sua voce in Cats.

Si apre il tutto con la leggera Bouquet che fa da apertura quasi silenziosa al singolo Cats, una voce che va in fumo appena esco viene cantata in Musa per passare alla ritmata Case di ringhiera, notevole l’aria che si respira in Corteccia che strizza l’occhio al James Blake più ispirato, si respira aria di anni ’80 nella title track e che apre il campo alla reale più che mai La sicurezza degli oggetti; in chiusura ancora, per una nuova versione, quel bouquet che tu vorresti lanciarlo a me e non vedermi più.

Ascoltando Alia si ha l’impressione di trovare davanti a noi lo specchio della nostra anima, quella più nascosta, quella che vuole parlare al nostro cuore, ma non sempre ci riesce, un cantautore sopraffino, leggero e mai banale dove la concentrazione si fa poesia e la realtà desiderio in cui riporre tutte le nostre speranze.