Punkillonis – Eclissi (Pick up Records/Bella Casa music/Punkillonis)

 

Non c’è nulla da dire, qui ci troviamo davanti ad una evoluzione del punk nostrano che riprende in gran parte temi già conosciuti e li trasforma all’interno di una realtà, quella italiana, che non da scampo, che non concede.

Ecco allora che la rabbia va gridata, quasi fosse una continuità cercata e voluta con gruppi come CCCP e i primi Skiantos, una prosecuzione naturale del turbinio politico e sociale che innescava canzoni e tremante si faceva portavoce di una generazione e di un male di vivere.

I cagliaritani Punkillonis sono molto conosciuti in terra d’origine e dopo due cd alle spalle e numerosi concerti, condividendo i palchi di numerosi artisti del calibro di Linea 77, Meganoidi e Derozer, si cimentano nella terza prova da studio confezionando il riuscitissimo Eclissi.

Disponibile anche in vinile, il disco parla di percezioni e decadenza, di luoghi del buio e di caparbietà, un’immane ricerca del giusto, del vero, di una libertà che non solo è propria di questa musica, ma deve essere costante ricerca all’interno di ognuno di noi.

Ecco allora che il singolo Dove gira il vento lo troviamo a chiudere il disco mentre in mezzo ci sono i Ramones, i Clash di Sandinista e tanto sapore amaro nel tempo che se ne va, un tempo che per i nostri non deve essere perso, anzi deve essere raccolto, vissuto e impreziosito da attimi di vita; per il resto lungo i 16 brani si ascolta tutta musica ben suonata e strutturata, non c’è altro da aggiungere.

Litio – Con la semplicità (Vollmer/Audioglobe)

Ironici, divertenti e prorompenti, intarsiati e uniti da mescolanze di stili e generi che li rendono inclassificabili seppur facendo parte di quell’indie pop nostrano piacevole e scanzonato.

I piemontesi Litio sono attivi dal 2004 e dopo numerosi cambi agli strumenti la formazione si stabilizza/destabilizza portando alla luce il loro primo disco (Flo)reale nel 2011 che li vede aprire, tra gli altri, per Nicolò Carnesi, Perturbazione e Zen Circus, poi la cosiddetta maturità/immaturità li fa avvicinare a Francesco Groppo (Wherever Recording Studio e Vollmer Industries) che consente loro di registrare Con la semplicità, il loro secondo lavoro.

Ed è proprio semplice l’approccio di questo disco, diretto, comprensibile, senza ricami o richiami a quant’altro, sola e pura semplicità.

I ritmi power pop si condensano con il punk e ci lasciano trasportare verso testi freschi, sbarazzini e in vicissitudine di cambiamento.

Tanto per fare un esempio ascoltando la traccia d’apertura 16 anni si respira una sferzata d’aria fresca racchiusa in pochi attimi di gioia adolescenziale , si passa poi a Mamacita che con echi latineggianti ci trasporta con il suo ritmo altalenante a Bugiardi la radiofonica del disco.

Si passa poi velocemente a Non capisco, canzone blues sull’assenza di punti stabili e proprio prendendo spunto da queste parole Per me e Bus si affaccia su territori ulteriormente nuovi, quelli del soul e del battito in levare; La ballerina ricorda i vicentini Casa, Sergio invece è radicalità punk che si fa intendere anche nella chiusura con Dice.

Un disco pieno di spunti di osservazione ed energia vitale capace di conglobare pensieri che si alzano per creare quel vortice innovativo di cui la canzone italiana ha bisogno.

Feel in the Void – Steps to nowhere (Autoproduzione)

Un duo anomalo che si inerpica lungo i sentieri della costa americana dove strade lunghissime tagliano territori esplorati solo da pochi e grandi intraprendenti viaggiatori.

Questo disco dei Feel in the Void potrebbe essere la colonna sonora di un viaggio fatto a fine ’60 con la propria cabrio e la musica che ti invade a tutto volume, senza cercare tante spiegazioni e lasciandoti appresso giorni andati male, un misto di chitarre acustiche e assoli old style con tanto di richiami alla Eric Clapton, sentire la cover presente nel disco di Tears in Heaven, tanto per farsi un’idea.

Un disco questo ben suonato e ben costruito che il duo foggiano, trapiantato a Bologna, ci regala marchiando a fuoco un proprio stile che raccoglie le proprie basi su di un rock Hendrixiano che parla la lingua dei Creedence ed entra nelle radici profonde di quella musica che diede inizio al tutto.

L’ep composto da sette canzoni inizia con l’alt prog di All my thoughts, lasciando spazio a Lonely Groove che potrebbe essere tranquillamente una canzone dei Pearl Jam, passando per gli assoli di The evildoers e lasciandoci incantare dai cori di More like a diamond, il disco poi acquista atmosfera con Brave, lasciandosi trasportare dalle sfocature Claptoniane per finire con Aprirò le danze canzone interamente cantata in italiano che strizza l’occhio a Marta su Tubi e a Med in Itali.

Michele Nardella e Giuseppe Vinelli ci sanno fare e lo dimostrano in questo disco che ha tutte le carte in regola per aprire più di qualche porta ancora chiusa, un soffio di vento riconoscibile da lontano, ma che porta dentro di sé sottili attimi di cambiamento, un bel percorso questo intrapreso dal duo che porterà sicuramente verso strade infinite.