Oceans on the Moon – Tidal songs (NewModelLabel)

Si ascoltano gli Oceans on the moon e nel contempo ripercorriamo la storia del rock-pop degli anni 2000, si parte con i Radiohead per struttura sonora e arpeggi discendenti che fanno venire i brividi al solo contatto con le nostre orecchie, ci sono i Coldplay, i primi Coldplay, legati alla malinconia di fondo che si intreccia  a quel suono un po’ sporco che caratterizzava il grunge di fine ’90; c’è l’elettronica che crea atmosfere e strati su strati fino a comporre una tela definita dal lieve contorno della brina che si scioglie e ci incanta per tanta bellezza, così ossessiva e così accogliente.

Poi nel disco ci sono gli Editors, ci sono gli Interpol e anche qualcosa di Robert Smith, in primis però ci siamo dimenticati di ricordare che c’è Andrea Leone e Marco Martini, due geni impazziti che si divertono a ricreare mondi da percorrere e da esplorare trattenendo il respiro e che si insinuano lentamente dentro ai nostri occhi.

Nessun pezzo spicca o prevale sugli altri in quanto la coerenza e la bellezza delle 8 tracce amalgama in modo efficiente il contorno delle cose a definire un linguaggio che potrebbe essere comune, universale.

Un’elettronica ben calibrata che promette e molto direi, portando questo duo sul gradino più alto della musica nazionale e internazionale a fianco di Joy Cut tanto per citare qualcuno e a fianco di quel genere sempre in rinnovamento che caratterizza mostri sacri prima lontani, ora percepibili.

 

Gray – Sessantanove in cerchio (NewModelLabel)

Una voce che meraviglia al primo ascolto, come immensa montagna che si staglia al cielo, granitica, impostata, che è capace di sussurrare emozioni anche da una distanza inestimabile; come quel sapore di pane mattutino che riscalda e riempie, che si intravede da lontano e che regala sprazzi di inedita consapevolezza e sguardo al presente.

La direzione della barca è stata segnata già a fine anni ’80, ma in questi anni oltre che alla novità del cantato in italiano, il nostro Gray si è perfezionato, facendo un’ottima commistione sperata, nei pezzi che lo caratterizzano maggiormente.

La sua voce richiama espressamente il soul di oltre frontiera, quasi fosse una naturale evoluzione del divenire, mentre la musicalità strizza l’occhio al rock più classic che però si divincola facilmente dagli stereotipi del già sentito e lascia dietro di se una scia di luce illuminante.

Pezzi come Cose od Ho sentito dire entrano facilmente nella nostra testa per non fuggire più, mentre Dormi dolce dormi ha quel sapore radiofonico che colpisce al primo impatto facendo posto alla bellissima Non erano rose che si lascia trasportare dalla coda di Vorremmo tutti essere delle star.

Un disco maturo, affiatato e affinato, come dire completo, un’evoluzione personale e contingente che abbraccia un’esperienza di vita che non ha mai fine.

Marco Mati / Stefano Morelli – Split (Lapidarie Incisioni)

Gli album come una volta, un’amicizia che non è divisione, ma condivisione, due lati in un disco; una volta c’erano i vinili ora ci sono supporti moderni che risultano essere essenziali nella loro unicità.

Due ragazzi, due persone molto diverse, accomunate dalla voglia e dalla necessità di fare qualcosa di vero e puro, di innovativo nel panorama della musica indipendente italiana.

Il tutto ha il sapore del vintage appena sfornato, contornato da stupende delicatezze che si assaporano maggiormente nella buona stagione che sta per arrivare.

Il primo, Marco Mati, è portatore di un suono legato al Soul e all’R&B con contaminazioni Reggae infarinato da una buona dose di coraggio che rende i sei pezzi, la sua parte, molto variegata e intrisa di quel sapore internazionale che lo contraddistingue.

Stefano Morelli invece fa dell’introspezione una via di fuga dove far crescere i propri pensieri che sono in continuo divenire abbracciando Kings of Convenience, Tom Waits e le solitudini immaginifiche di Thom Yorke.

Un piccolo gioiello che suona come purezza nella sua essenzialità, come viaggiatore errante in cerca delle proprie origini, un mondo in 12 tracce che sono state regalate per essere scartate lentamente una a una, fino all’arrivo di un nuovo giorno.

Leo Folgori – Vieni Via (Betaproduzioni)

Album d’esordio per Leo Folgori, che riesce a mescolare in modo magistrale e con una certa raffinatezza sonorità legate a territori deserti, indiscutibilmente eterni e privi di
confine.
Un tuffo nella concretezza dove le parole sono usate quasi fossero un distillato
di acquavite da custodire per i momenti mgliori, quel connubio perfetto che interseca
il Morricone d’annata con il cantautorato di Bubola e Dino Fumaretto: a ricreare una stanza  nascosta dove un pianoforte e la chitarra sono portanti per una serata che non vuole finire, il tutto accompagnato da una leggera batteria che si fa strada tra assoli di violini e fisarmoniche in dissolvenza.
Un cantautorato in vibrante solitudine che ci accompagna lungo le 12 tracce, una canzone
di protesta che si avvale di un racconto esaustivo di storie che sempre non hanno
un lieto fine, ma si caratterizzano per essere costanti ricerche di un mondo diverso
dove stare, dove vivere.
Il ballo del serpente sintetizza le atmosfere lasciando il rilassamento post singolo
nelle tracce seguenti fino a raggiungere sprazzi di nuova animosità in Oltre la strada
e toccando apici di cura stilistica in canzoni come Vita.
Un disco pieno di racconti da narrare dove l’approccio diretto al folk si mescola molto
bene alle radici di un vissuto in cerca sempre di una propria strada da seguire.
Un grande inizio, per questo solitario cantautore, che raccoglie i cocci e li reinventa
dando un senso alla composizione, un nuovo oggetto che si trasforma in emblema.

Doctor Krapula – Viva el Planeta (Star-Arsis, Discos Intolerancia, Pop Art , Bombea Discos)

Qui su IndiePerCui delle volte arrivano delle cose molto strane, delle cose che nemmeno ti aspetti, che ti fanno aprire gli occhi al solo pensiero di poter recensire gruppi di fama mondiale come i Doctor Krapula.

Colombiani e presenti dal 1998 questa band è riuscita nel corso del tempo ad accaparrarsi una fetta di pubblico sempre più vasta e riconoscente verso un genere che ti trasporta in un mare infinito fatto di azioni delicate, costringendoti a farti alzare dalla sedia per farti muovere e sognare.

Portbandiera di quel movimento artistico dell’America Latina e coadiuvati da amici di lunga data come Manu Chao, i nostri mescolano in modo sapiente il rock sferzante con lo ska e il reggae formando quella commistione generosa e di proptesta che nel corso del tempo ha saputo creare una  vera e propria rivolta musicale in barba ai politici corrotti e a i confini che non sono più confini.

Un disco che sa di libertà, che ti porta ad assaporare quella bellezza primordiale che è insita nell’uomo e nelle fattispecie nel mondo che tenta quotidinamente di insinuarsi dentro di noi, ma ci lascia basiti e il più delle volte incapaci al cambiamento.

Ecco invece che i Doctor Krapula rimescolano le carte in gioco, quasi fosse un divertimento per loro star sopra il palco e ci donano senza troppi sforzi un disco che racchiude gli elementi più importanti per questo periodo storico: protesta contro il potere, salvaguardia della natura, libertà.

Un disco da tramandare di padre in figlio per molte generazioni, anche quando non esisterà più il cd come supporto fisico, anche quando non avremo più fiato per gridare il nostro potere.

Incomodo – Un po’ di silenzio (Mammut Produzioni)

Toni dirompenti inframmezzati da attimi di riflessione sonora che ti integrano un mondo che lontano si avvicina per fondere il pensiero con un’unica e grande vittoria lungo i tracciati della vita, che non sempre risultano comprensibili, anzi, si portano con se incertezze e malesseri, vissuti distorti e raggelanti previsioni.

Gli Incomodo lo sanno bene e sono arrivati a questa certezza perchè a loro piace sperimentare; quella sperimentazione che parte dal substrato cosciente di un rock aternative di pura matrice indie che strizza molto bene entrambi gli occhi a Pixies e conterranei Verdena, mettendo in discussione i tempi moderni e il costante cataclisma che stiamo vivendo, interrotto solo di rado da attimi di felicità.

Con gli Incomodo parlano prima di tutto i testi: un pugno nello stomaco contro il banale e già sentito, trasformando il tutto in una materia tale che le lacerazioni provocate non sono altro che pezzi di vetro incastrati come specchi di selfie arruginiti.

Della vita i nostri non vogliono di certo fare un’autocelebrazione e si concedono di spaziare in territori sonori del tutto accattivanti e interessanti, un labirinto metaforico da cui è difficile uscire.

Notevole il punk di fine ’80 di E’andata così come non passa inosservata la ballata L’ignavo e poi come non dimenticare le sonorità accattivanti di Ora non mi va e gli attimi di respiro con E’ andata così e Sai ti dirò.

Un disco che brilla per giovinezza, freschezza e capacità espressiva, un disco che si concentra su di un punto preciso per passare all’argomentazione sperimentale, lasciando dietro di sè solo attimi di lucidità.

Se fossimo negli anni ’90 qui si parlerebbe di storia.

Area 765 – Altro da fare (Autoproduzione)

Prenditi del tempo, ma veramente tempo, quello che ti permette di chiudere gli occhi senza la paura che qualcuno ti possa svegliare, indossa le cuffie dello stereo e infila il cd nel lettore lasciandoti trasportare da questa nuova esperienza che placa gli animi e ricrea in te, ascoltatore, una fusione tra l’acustica calma e il correre verso mete infinite.

Tra cantautorato sopraffino e combat folk denudato gli Area 765, ex Ratti della Sabina, ci regalano un cartoncino verde prato con 18 canzoni trasformate e rimescolate, una pura essenza da scoprire quasi fosse il regalo da scartare nel giorno di Natale.

2 inediti che si lasciano cullare dal vento della Primavera più una carrellata dei migliori brani del passato che assumono via via un eccepibile bisogno di respirare a piene polmoni quell’aria nuova che ci appartiene e che vuole creare un connubio con noi stessi, con la terra da cui veniamo e con il futuro che tentiamo ogni giorno di costruire.

Spensierate poesie in equilibrio tra il nuovo che avanza e il passato che si trasporta con se, come fosse una montagna dalla salita non sempre facile, ma che, con l’aiuto di chi ci vuole bene, risulta più facile nella scalata, verso vette segnate da rossi orizzonti.

Un disco pieno, ricco di vibrazioni sonore, quasi fosse un ritrovo in un pub dove si ascolta instancabilmente, per ore, una melodia che parla di Noi.

Un altro centro dunque questo, per una band che negli anni ha saputo reinventarsi sempre quotidianamente, tralasciando l’inutilità del già sentito e valorizzando prima di tutto il pensiero di chi li ascolta, di chi li ha fatti grandi.

Bioscrape – Exp.ZeroOne (OverDub Recordings/Worm Hole Death)

Discesa negli inferi senza risalita, violente sberle in faccia che non sono di certo rassicuranti, per gli amanti del genere questa è roba che spacca, un incrocio di Brutal con il Metal e l’Hardcore a creare una commistione sonora tanto cara a chi, per scelta, decide di vivere una vita nel cocktail degli eccessi e della velocità.

Un mix quindi che non ha fine e che si prende il meglio contaminato per trasfromarlo, ricreandolo sapientemente in una profilassi sonora che non ha nulla da invidiare agli esterofili che sul piedistallo danno le indicazioni per creare questa e altra musica.

Un gruppo che certamente sa intrattenere al suon di pogo ammiratori della prima e ultima ora, intrecciando confusione mentale e ragionevoli eccessi capaci di stupire.

Una band  dal sapore internazionale che innesca la miccia della ribalta, calcando il palcoscenico in modo pesante tra linee ritmiche instancabili e urla strazianti color grigio cielo.

Warped – Intorno a me (OverDub Recordings)

http://image1.frequency.com/uri/w234_h132_ctrim_ll/_/item/1/4/5/5/Intorno_A_Me_Warped_145586762_thumbnail.jpgMascelle che si contorcono e distorte si assottigliano fino ad entrarti prepotentemente nella testa come fosse in un videogioco, quel videogioco a cui non riesci a rinunciare tanto ti coinvolge quanto ti ruba l’anima, i pensieri gli affetti.

I Warped non cercano mezze misure sono incavolati con tutto quello che li circonda e fanno del Nu Metal vecchia scuola la loro carta d’identità; un substrato di vissuti laceranti dove l’inizio non ha mai fine e i territori da invadere e scoprire si fanno sempre più larghi.

Un senso di tensione ti attanaglia e poi le parole sono snocciolate tutte d’un fiato quasi a comporre una lirica sonora che non ha mai fine.

10 pezzi cantati in italiano che rispecchiano la vita dei cinque ragazzi, 10 pezzi che, come vetri affilati ti misurano la pelle e la fanno diventare qualcosa di autentico e sensazionale: ascoltare per credere A Pugni chiusi o Fa male.

Un continuo reagire agli stimoli esterni, un continuo frapporsi di termini, come la nostra vita fosse un continuo ossimoro, dove il chiarore si affaccia al buio, dove il sole illumina la notte, a completare un percorso di istinti e passioni.

Macrolle – OneOverZero (Autoproduzione)

Di soppiatto sembra di entrare dentro ad un film poliziesco degli anni ’70, quei film francesi che accomunavano scelte stilistiche ineccepibili, guidate da uno stile unico e da un cast di attori invidiabili.

Non siamo in Francia, ma a Ferrara precisamente, città tra le più verdi d’Italia che in questo esperimento sonoro i Macrolle la fanno diventare set cinematografico dall’atmosfera noir, tesa; un notturno film dove i passi nelle pozzanghere si fondono con il ticchettare dell’orologio da taschino.

Sperimentazioni sonore in un rock  prog sostenuto da un alt che si identifica con la scena americana nelle improvvisazioni e negli attimi di rilassamento con il mondo che ci circonda.

La voce di Ilaria Follegatti incanta e si misura bene alle trovate Radioheadiane del gruppo toccando chitarre in defrag alla Sonic Youth e spunti sonori che ricordano le convinzioni dei The Gathering nel loro acustico live.

Nove tracce che ti abbracciano e non ti lasciano andare, un sole che sorge e che ben presto è ricoperto da nuvole cariche di polvere, quelle nuvole che sono sostanza dei nostri cambiamenti umorali, proprio come dentro ad un film, dove la colonna sonora si staglia verso l’uomo che corre, nella notte, lungo il molo, in cerca di qualcosa che ha perduto, nella speranza che il tepore lo accompagni, poi, sulla strada verso casa.