Band Bunker Club – Musica per cefalopodi e colombi selvatici (Off torino)

Questa è musica inclassificabile, ma che ti entra dentro per non lasciarti più.

Un mix tra cantato, gridato e parlato degno di nomi che fecero la storia della nostra musica CCCP in primis e che ad ascoltare bene  il lamento che scorre di sottofondo sembra di sentire un inno rivolto al combattere per sopravvivere, al rimanere a galla urtando le coscienze dalle solite posizioni vacue e leggere che caratterizzano un’esistenza fatta di poche e piccole gioie da quadro famigliare.

Con la Band Bunker Club non si scherza, qui ci sono contenuti, ci sono i testi che parlano da soli… tutto è così bello che mi sembra di non essere…si canta nella traccia di apertura, sintomo di un male che riaffiora e ci accomuna poi il tutto si inerpica toccando vette al fulmicotone power chord dove a tessere le trame sinuose si sganciano in modo esemplare voci di donna che conturbanti ti legano per non lasciarti più.

Sentiremo parlare ancora di questi ragazzi anche perchè sanno riuscire ad entrare dentro senza aprire nessuna porta, ma solo smuovendo quel qualcosa che dentro di noi non funziona, cullandolo per poi lasciarlo andare al proprio destino consapevole di essere diventato qualcosa di diverso.

Vostok – Vostok (Blotch Records)

Rock sferzante, brioso, impreziosito da eleganti e palpabili incontri dilazionati che si lasciano vincere dall’orgoglio, combattendo la paura che attanaglia le persone costrette dall’apatia e dal disagio a rintanarsi dentro a lugubri case dove l’unica fonte di illuminazione è il chiarore della Tv.

I nostri però sono di un’altro pianeta e dal satellite luna i Vostok raccontano un’altra cosa; la vita è un’insieme di vicende e vissuti che si identificano in un piano più ampio, più maturo ed essenziale, si ritorna alle origini per proporre una musica che non muore mai, che non deve morire mai.

Ecco allora che tracce scendono veloci come acqua alle rose, segni del tempo non se ne sentono, anzi, il bagliore che la loro energia sprigiona è raccontata in pezzi come Solo un’ora, uno scorrere inesorabile, trattenendo il fiato, verso mete lontane da cui possiamo solo ricavarne l’Odore.

Un disco fresco e quasi essenziale per le giovani leve che avanzano, perchè ti fa capire come un genere sperimentato da decenni possa essere sempre in qualche modo rinnovabile, più vero, più puro.

A modern way to die – Pulse and Treatment (Seahorse Recordings)

Strane visioni si accendono nei miei occhi come inquietudini di un tempo passato portato a raccogliere frutti acerbi, ma pure essenziali e riconducibili a quel vulcano in eruzione che attende e strappa, che attinge il meglio della scena ’80 e lo riversa quasi con spontanea naturalezza in un mondo fatto di automobili inarrestabili e umani, sovra umani irriducibili che si sentono super eroi.

Un cantato con un eco lontano fa da ponte, da tramite, alle circostanze che cambiano, che si fanno vive e più mature, riconducibili alla moderna creazione di una musica che non ha età ne confini, ma è solo un fatto di sopravvivenza e i nostri, di fatto, per sopravvivere se la cavano bene.

Oserei dire che se la cavano egregiamente anche perchè parlare di new wave nel 2014 significa riportare l’attenzione, il focus, il centro ad una considerevole voglia, quasi un bisogno di sperimentazioni sonore che in questo caso si divincolano in modo ottimale lungo le otto tracce della nuova fatica, dopo l’ep di esordio.

Questo Pulse and treatment è un album dove la sperimentazione è di casa, ascoltare Misanthropy per credere, un disco fatto di surrogati dove la materia prima è illuminata di luce propria da faville emozionali pronte a riaccendersi ad ogni sguardo.

8 tracce cariche, sentite e immortalate in una fotografia, quasi fosse mutevole immagine vintage da conservare negli anni a venire.

Cesare Malfatti – Una mia distrazione +2 (Adesiva discografica)

 

Un disco raccolto, a braccia conserte, teso a ristabilire l’attimo che verrà, la pace dei sensi velata da una leggera e instabile malinconia di fondo che dona al tutto un pensiero rinnovato, vivo, quasi fosse una carezza, una ricerca di se stessi che non ha mai fine, un ricoprire il mondo di leggerezza e poesia come non mai.

Cesare Malfatti non ha bisogno di presentazioni e se non sapete chi è scrivete il suo nome su qualche motore di ricerca e vi apparirà un’immensa e vasta biografia.

Cesare Malfatti per noi è un uomo che ha saputo prendere tutto il tempo con se, con la capacità di creare in progressione un corpo mutevole impreziosito da registrazioni fatte nell’ultimo periodo e aggiungendo quel +2 che di certo non sminuisce l’opera, ma la completa e la porta in alto, fin sopra territori di pura poesia musicale, dove tra questi spiccano pezzi incantevoli e sublimi come Se tu sei qui, passando Per Noi e giù giù fino a una Casa che, quasi fosse un concept album sull’abbandono e la solitudine, il riflettere ad occhi aperti un mondo diverso, con quelle capacità extrasensoriali che solo un grande della musica può avere.

Tanto talento quindi, per una strada che non finisce mai e soprattutto per un percorso di persona, uomo, che non finisce mai.

Il disco suona come un contatto di corpi in precario equilibrio, pronti a prendere il volo, ma ancorati come macigni al suolo, un vuoto che ti prende alla gola, ma che ti riempie il cuore.