Quindi – Esistenzialisti per gioco (Autoproduzione)

Uno specchio in frantumi che raccoglie facce, volti in consumazione che cercano un’ inesorabile vittoria all’interno di una scatola che perennemente è vuota, che in qualche modo è in cerca di trasformazioni sicure, ma non riesce a riempirsi, non riesce a trovare uno sfogo dentro a pomeriggi grigi di sole spento.

“I quindi”, band torinese, confezionano “Esistenzialisti per gioco” : un album immediato, che parla con parole semplici e disinvolte delle difficoltà quotidiane: piccoli attimi di storie racchiuse in un diario da far crescere e implementare con racconti di vita vissuta.

Le sonorità abbracciano un pop rock ricercato soprattutto negli spunti della batteria, che sa essere incisiva, precisa e puntuale nelle diverse ramificazioni che compongono la forma-canzone che in fatto di musicalità assomiglia molto alla formula “Verdena” del loro primo omonimo.

Si parte con il botto tribale di “Danza allo specchio” passando per l’ammiccante “Maschere” senza tralasciare l’acquarello dolce-amaro di “Inverno troppo freddo”, i toni poi si incupiscono toccando vertici di purezza con “l’adolescente” e finendo con l’autocritica ne “Il mio show”.

Un album che non si presenta in formato fisico, ma che è solo possibile downloddare e trasmettere in modo capillare; un disco che acquista nuove forme ad ogni ascolto, 9 brani che riescono a far proprio un pensiero e un concetto radicato in profondità e da cui bisognerebbe trarne sempre spunti per un domani diverso.

Call me Platypus – Shame on (Autoproduzione)

Acidi e puramente rock and roll questi “Call me Platypus” si fanno portavoce di un’immediatezza strillata ai quattro venti in attesa di creare un vortice di tensione crepuscolare che esplode in grida e ritornelli.

Un piccolo ep che racchiude potenza ed energia sonica, cambi di tempo repentini e sincopati accompagnati da una virata di riflessi ultravioletti ad incrinarsi nello specchio della vita regalando emozioni a non finire.

Il tutto è mescolato ad una sapiente new wave contaminata dal punk fine ’70 e dal più moderno “targato 2000” che in qualche modo incrocia la rabbia di “At the drive in” al pensiero introspettivo di gruppi come “Editors”, passando per le chitarre della “Gioventù sonica” e dei “Green day”

Il piccolo disco vede l’apertura di “Indians” battagliera e corrosiva, passando per le forme più rock soft che si aprono nel finale di “Conduit engine”, “Sonic samba” e “Pegasus plumcake” rappresentano il punto di incontro della melodia con la poesia lasciando l’epilogo alle improvvisazioni pumpkiane di “Neomelodic goes intergalactica”.

Un disco ricco di spunti questo, che riesce ad amalgamare diverse situazioni da punti di vista di certo particolari e originali. Una buona prova che lascia sperare in un’opera più piena e compiuta nei prossimi mesi/anni in grado di regalare ascolti nella quasi follia della proposta. Promossi.