Madaus – La macchina del tempo (Autoproduzione)

Parlare di capolavoro succede poche volte qui su IndiePerCui, anche perchè altrimenti vivremo in una bellezza accecante dalla quale non potremmo uscirne.

I Madaus rientrano in uno di quei gruppi che solo attraverso poche note iniziali fanno comprendere le loro capacità e la loro poliedricità nello spaziare con facilità da un genere ad un altro senza la minima fatica o pesantezza.

“La macchina del tempo” è un disco carico di fascino vintage, nonostante questo termine sia super abusato in questi anni, è un disco che brilla di luce propria, semplice, ma allo stesso tempo bellissimo.

Un concentrato di blues, bossanova e cantautorato in primis in cui le tenebre sono spazzate via da una voce elegante e mai gridata, che entra in punta di piedi e ci copre fino a renderci partecipi di un calore nuovo e inusuale.

Un’insieme di ballate introspettive che guardano agli ultimi con la speranza che il dovere non sia solo parola al vento, ma punto di partenza per costruire un diverso futuro.

Canzone emblema sicuramente la title track, ispirata dai graffiti che Oreste Nannetti, degente del manicomio di Volterra, incise sulle mura del padiglione dove viveva.

Un disco che sicuramente li renderà protagonisti di questa annata, dopo aver vinto il Premio Ciampi e gli inviti al Tenco e al premio De Andrè, i Madaus si ritirano con eleganza nelle loro storie, storie di tutti i giorni dove i protagonisti sono persone comuni, che cercano con umiltà il loro spazio di vita.

Yumma Re – Sing Sing (Monochrome Records)

Sing SingIl Sing Sing è un palazzone costruito intorno agli anni ’30 che, essendo senza balconi, ricordava forse vagamente il carcere di New York chiamato appunto ‘Sing Sing’. Un palazzo aperto, dove la vita si svolgeva sui pianerottoli, dove i problemi e le gioie dei singoli erano dell’intera comunità che lo abitava”.

Una partenza dai ricordi della band che racconta le contraddizioni di un’Italia da cambiare partendo dai momenti più sentiti e vissuti del gruppo campano, che alla nuova uscita discografica regala emozioni sonore che si divincolano con velocità straordinaria nel traffico metropolitano.

Dieci pezzi di ricercatezza elettronica in cui l’indie più sfrontato si sposa con eleganza al cantautorato e al rock d’oltreoceano, i testi anche se in lingua inglese denotano una maturità da preservare e che colpisce bene il segno.

A tratti sembra di ascoltare echi di Bjork, mentre altri momenti si collassano in ballate Radio Testa dei primi album senza dimenticare Air e i nostrani Joy Cut.

Un album che regala gioie inesprimibili nella trattazione di argomenti non sempre facili da digerire, un continuo crescendo che esplode in frammenti stupendi con “I have a gun” e “You let me down”.

Questa band meriterebbe di essere ascoltata solo per ciò che viene raccontato nelle loro storie-canzoni, un volto storico, ma al contempo nuovo dell’underground italiano, dove poesia si mescola all’oscurità e sinceramente di questa formula non posso che rimanere stupito.