Lou Tapage – Finistere (LT Records)

Odore di brina e di foglie verdi smeraldo, distese di montagna e altipiani contagiosi dove prendere casa e lasciarsi cullare dal tepore dell’estate o dal camino di un dolce inverno.

Lou Tapage è sassi che hanno fatto il tempo, sassi che hanno fatto strade e case e che sono lì ferme a ricordare che le generazioni del futuro devono imparare molto dal passato.

Quasi un quadro vagante questo “Finisterre” del gruppo Piemontese, che incrocia folk al rock, il celtico delle tradizioni all’innovazione sonora.

Una band che consegna a Noi un disco che conserva gelosamente una lingua, l’occitano, in alcune canzoni e dall’altra una mescolanza di passione che viene dal cuore e si espirime nella leggerezza di ballate cantautorali e storie che fanno di ogni giorno una nuova storia da poter raccontare.

Debitori di un suono legato a gruppi come MCR e Casa del Vento, si contraddistinguono da questi per testi meno combat folk, ma legati maggiormente alla narrazione di vicende come in “L’uomo in nero”, “Nice” o nel racconto del cambio delle stagioni che si fa realtà in”Com la brancha de l’albespi”.

Un disco fatto per il viaggio, dove poter avere un strada lunga e infinita davanti da percorrere con la musica dentro, capace di ricreare luoghi e personaggi di un tempo lontano.

Yugo in incognito – Uomini senza gomiti (Lapidarie incisioni)

Gli Yugo in Incognito firmano un disco pseudo punk, a tratti i suoni sembrano legati al classic rock d’alta scuola, dall’altra assoli ben calibrati si caratterizzano per andare oltre schemi prefissati.

Durante l’ascolto ci si chiede perchè questo disco sia arrivato così tardi, dopo quasi 12 anni di attività e centinaia di live in lungo e in largo senza aver mai concretizzato la bellezza che  questo stile eterogeneo e spiazzante può contenere.

Un album che nella sua dismogeneità regala emozioni in rima, quasi da giullari di corte, in pezzi come “Smart” o “500ino”, mentre attimi di riflessione li ascoltiamo nella capiente “Cyclette&Abbandonata” o nel bellissimo finale di “Don’t iscriv yourself to the siae”.

Notevole inoltre l’aspetto grafico del tutto: un piccolo astuccio che racchiude i testi delle canzoni in fogli volanti, per poterli attentamente analizzare senza vincoli di ancoraggio.

Questo disco è prima di tutto una denuncia verso una società legata a stereotipi che continuano a licenziare, fisicamente parlando, giovani menti che, legate all’idea di un futuro migliore, sono costrette a fuggirsene via lontano dall’apatia dilagante.

Un disco amaro, puro, vibrante e consolatorio per quanto consolante possa essere vivere in Italia nel 2013.

The grooming – Thisconnect (Autoproduzione)

La band dai 1000 volti definita tale in quanto le canzoni che compongono questa meraviglia sonora si snodano all’interno di labirinti esistenziali in cui è veramente facile perdersi e non trovare la strada verso casa, in cui è quasi scontato trovare persone che si incrociano, si guardano e iniziano a ballare senza un naturale motivo.

Una band che mescola un’elettronica d’attacco e un suono che si avvicina a Portished e Massive attack, passando per le atmsofere rosate dei francesi Air.

Un mix di eterogeneità e passione in cui è notevole l’uso di synth e programmatori che danno un tocco pienamente personale al lavoro di cesallatura finale che di certo regala sorprese sonore di ascolto in ascolto.

Giri di basso e groove di batteria che si intersecano con il reale infinito fino a dar forma all’indecifrabile essenza del perdersi.

Ospiti eccelenti nelle voci e sul palco: da Meme Galbusera a Gianluca “thehuge” Plomitallo, passando per Jack Jaselli, Alessandra Contini, Ezio Castellano, Denise Misseri e Ketty Passa, Paolo Martella e Chiara Canzian.

I quattro prendono ciò che di meglio sanno fare per donarlo giustamente ad altrettante voci che riescono ad interpretare in maniera magistrale liriche introspettive e quasi laceranti.

Un disco di notevole fattura, da ascoltare e riascoltare, un’elettronica mai esagerata o gridata, ma anzi, il giusto connubio tra l’emozionale e il vibrato andante.Tanto di cappello.

L’inferno di Orfeo – L’idiota (HertzBridge Records – LibellulaMusic)

Un cantautorato che abbraccia sensazioni lontane di rock più classic senza tempo per ricordare che parole e intreccio fiabesco si possono schierare dalla parte di chi l’idiota vuole essere, apparire o chi si atteggia in modo così tale da far credere agli altri di esserlo veramente.

Un disco maturo e lagato in qualche modo alle origini di questi quattro torinesi che ora come ora stanno raccogliendo i frutti tanto sperati, affermandosi tra le migliori proposte della scena alternativa piemontese.

Musica che si mescola con un vissuto in cui il colore dominante il rosso si scontra con il giallo per creare quel tenue arancione di copertina che regala emozioni contrapposte da uno stile unico e certamente originale.

I testi denotano una sapiente ricerca, fulcro esistenziale per gridare le proprie idee senza essere calpestati, senza essere giudicati e in qualche modo per fare quadrare il cerchio della memoria, sempre cara al Silotto frontman.

Un incrocio quindi tra Non Voglio che Clara e Paolo Benvegnù, tra Manuel Agnelli del Quello che non c’è e la poesia musicale di Valentina dorme.

Pezzi che si fanno ricordare per la loro armonia d’insieme sono certamente l’apertura con “La Manovra”,  “Arrampicate” con un cameo DeAndreiano in sferzata elettrica e la title track “L’idiota”, mentre la chiusura affidata alla struggente “Paola” non delude le aspettative di un bellissimo finale.

Un disco che guarda al cambiamento con stile, racchiudendo piccole perle quotidiane da digerire sciogliendole dolcemente dentro al bicchiere di una vita troppo amara in cui sperare di vedere nascere, di tanto in tanto, qualche bel fiore.

 

IValium – Revolution (Venus dischi)

Revolution un album che ammicca ai suoni più classic punk e beat con venature brit pop  di stampo sixties.

Una carrellata di 12 canzoni ballabili fino ad avere male ai piedi, quelle dei Salernitani IValium che fanno dell’orecchiabilità una matrice di sfogo alle esigenze adolescenziali senza mettere in campo folk writer targati anni zero.

Per voce e stile, anche se meno elaborati, ma più diretti, ricordano i padovani MiSaCheNevica.

Canzoni quindi che scivolano come acqua di un fiume in piena che non lascia scampo nemmeno al più imperturbabile degli eroi.

Tracce che si fanno di certo ricordare sono “Io sono un Punk” con un ritornello strappa capelli, mentre il singolo “15 anni” fresco di un video che uscirà il 16 dicembre, è pura denuncia verso un mondo tanto stretto da far pensare che in qualcosa di meglio si può certamente sperare.

Bellissima nel finale la corale “Giochi Perfetti”, mentre attimi di psichedelia a colori fluorescenti si respira in”Syd + Lou barret”.

Un album fresco e genuino che non si sentiva da tempo, un disco che non si fossilizza nelle note oscure, ma regala attimi di gioia pura e pensieri che non sfiorano la materia cerebrale, ma che si snodano su, in alto, fino a toccare il cielo.