La Clè – Via dalla routine (Autoproduzione)

copertina la clè

E’ un pugno allo stomaco l’album dei La Clè, formazione marchigiana che per sonorità ricorda i primi Litfiba e Negrita con tocchi internazionali e divagazioni post core e hard rock di suoni americani distorti e voce piena e comunicativa.

Il loro lavoro parte dal concetto di affrontare la realtà in modo diverso e questo “Via dalla routine” ne è l’esempio:  uno specchio dove poter lavare via la propria anima sporca di dolore e rabbia, di sogni infranti e pomeriggi andati a male.

Il suono è granitico e al basso e batteria, Nicola Serrani e Enrico Biagetti, fanno la loro meritata figura impreziosendo il tutto da cambi di ritmi consacrati al non troppo, ma fatto bene.

Michelle Bellini alla chitarra, per approccio costituisce parte integrante del gruppo, utilizzando sonorità che si intersecano tra ’70 e ’90, percorrendo sentieri post-punk in pezzi come “Ricomincio dal mi”.

In “Segno d’acqua” si disturbano involontariamente Gentle Giant e Yes o ancora meglio i nostri conterranei “Le Orme” riportando in voga usanze dimenticate che per una rock band sono marchio di fabbrica, nonché segno distintivo.

Infatti il loro pensiero di fondo abbraccia l’idea di un concept album che per certi versi viene toccato attraverso canzoni quali “La fine del mondo”, “Cose pop” e “Vivo” confluendo in un unico fiume che scorre trasportando acqua dalla foce alla sorgente.

Si perché questo è un percorso al contrario, si parte dalla chioma dell’albero per arrivare alle sue radici, solo così facendo potremo fuggire via dalla routine.

Adailysong – Una canzone giornaliera (Apogeo Records)

adailysongE’ la melodia portante marchio distintivo di questa band gli “Adailysong” che rinfranca i giorni spesi in bilico nel  tuffarsi o meno nel mondo del pop o nel più semplice, dai più conosciuto, universo di musica orecchiabile che in questo caso indossa l’abito per le grandi occasioni per rinnovare un invito a cena da tempo perduto.

Sono canzoni d’autore impreziosite da interventi di gran classe quelle della super band campana che annovera tra gli altri: il cantautore Bruno Bavota in veste di pianista e del cantautore Andrea de Rosa che caratterizza le canzoni con una voce pulita e leggera, la quale si divincola in modo spettacolare tra i mille arpeggi e gli altrettanti arrangiamenti originali.

Le 10 canzoni prendono al cuore e neppure il più insensibile ascoltatore può rimanere inalterato dopo l’ascolto di pezzi come “Aprile” o “Polvere” per non parlare della miracolosa e meditativa “Destino”.

Sembra di ascoltare i Non voglio che Clara che dialogano con Paolo Benvegnù nelle profondità di un abisso inesplorato, tanta è la distanza che percorriamo per raggiungere divagazioni di forme mutevoli, rimanendo incollati alle nostre sedie.

Un disco che guarda ai giorni con malinconia, il primo disco, questo, per Apogeo Records, con l’augurio che ce ne siano altrettanti  in grado di farci catapultare su pianeti senza un nome e dentro pensieri che non sono di questo mondo.

 

Melt Yourself Down – Melt Yourself Down (Leaf)

meltyourselfFusione ritmata e incalzante di generi spaziali, per gli inglesi Melt yourself down, che si scontrano su di una direttiva di pura improvvisazione lasciando a casa orpelli troppo eleganti e facce tristi da colazioni andate a male.

I melt yourself down nell’album omonimo fondono un qualcosa di mai sentito prima, sax ruvidi, batterie senza tempo e voci che si sovrappongono meditando uno scoppio profondo di viscere intestinali.

Claustrofobici e dirompenti passano con facilità da suoni rock al free jazz sottolineando la matrice sperimentale che li contraddistingue in mezzo a tanti altri gruppi.

L’elettronica è campionata e rende l’idea di un’onda pronta a spazzare via qualsiasi cosa che le si propone davanti.

8 tracce con il respiro alla gola, 8 tracce che sembrano tutte uguali, anche se dopo l’ascolto quelli diversi siamo noi.

Per saperne di più

http://meltyourselfdown.com/

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Neve su di lei – Cerco la bellezza (RPM produzioni musicali)

Un disco che affascina per maestria e coraggio in quest’epoca dove solo il rumore sembra condicerco la bellezzare la vita di ognuno.

Neve su di lei partendo con la sua chitarra da Genova tocca lidi e città, strade e piazze con l’intento di far conoscere all’Italia intera le sue dolci melodie e la sua voce vellutata fino ad incontrare un altro cantautore, veronese questa volta, Ruben, che le produce il disco in questione: “Cerco la bellezza”.

Stiamo parlando di 12 tracce colorate d’acquarello dove il sole filtra da una finestra isolata fino alla cima del tempo perduto in cui colline infantili di curve colorate si stagliano sullo sfondo a rincuorare, leggere, anime nostalgiche e lieti ritorni.

La cantantessa ligure fa uso di accordature aperte per riappropriarsi di un linguaggio influenzato da ballate che strizzano l’occhio a Tori Amos, Joni Mitchell e Smashing Pumpkins in un continuo divenire che le è proprio fin da quando era bambina, quando i colori dei suoi disegni rispecchiavano un’anima gentile e sognante.

Una cover di cartone impreziosita da immagini oniriche, ricalcano la bellezza in ogni sua forma tralasciando il superfluo e dando risalto alla natura.

“Cosa sono io ?” il singolo racchiude il significato del disco mentre pezzi più nostalgici come “Un viaggio stanotte” sono ricerca continua di un posto dove vivere.

Pura poesia poi si ascolta in “Torneranno alla terra (Vajont)” approdando nei minuti finali, in punta di piedi “Nel mio campo giochi”.

Sogni e speranze in questo disco che porta Neve a un abbraccio con il mondo intero in attesa che, anche tra i nostri palazzoni, cresca qualche fiore colorato.

Maybe I’m / Bokassà – Paraponziponzipò (Jestrai, Lepers produtcions, Hysm?, La Fine, Eclectic Polpo. SGR Musiche, Charity Press)

Solo leggendo i titoli delle canzoni puoi comprendere la sgangheratezza di questi due gruppi messi assieme che dalla presentazione sembrano dei residuati punk di provincia legati dal filo del ricordo e dalla passione per la musica.

Non è così invece queste sono 6 tracce sopraffine partorite dall’incontro di due band una pugliese, l’altra campana che partendo dall’improvvisazbokassaione jazz incanalano l’energia a cui sono abituati per raccontare il grande continente nero in salsa afrodisiaca e leggendaria dove strumenti classic-rock incontrano sax e percussioni.

Il tutto viene alimentato e shakerato fino all’ultima nota per rendere l’ascolto più intrippante che mai e narrando l’Africa in chiave musicale come nessuno  aveva ancora fatto.

Ospiti speciali nel disco i due sax, uno più ruvido e tagliente, l’altro più morbido, di, rispettivamente, Mario Gabola e Andrea Caprara.

6 pezzi di genuino free jazz con molto tribe e un po’ di soul per regalare, a chi ascolta, polvere di stelle.

Cinemavolta – Love, party o altro? (Silent groove)

Ascoltare i Cinemavolta è entrare in un negozio di musica per uscirne con un disco dalle atmosfere funky notturne che strizzano l’occhio agli anni ’70 in mondo visione, rilanciando quell’idea moderna di un funky black soul, per un genere altamente lounge che delizia anche i palati più sopraffini.

Wild Cherry lega poco con i 5 bresciani infatti il loro è un suono a tratti cupo e sensuale, da film noir e da occhi che si incontrano sotto luci soffuse.

Nati a fine anni ’9love-party-o-altro0 con “Love, party o altro?” confezionano il loro quinto album che si presenta al pubblico nella primavera 2013.

9 sono le canzoni che compongono il disco, piccole delizie impreziosite da numerose collaborazioni di ampio respiro con formazioni del calibro di Blindosbarra e Voci atroci.

Una musica da assaporare lentamente che regala emozioni da week – end serali condita da un mix di cocktail aggiornati e freschi come “Provincia Escape” primo singolo di debutto che sta riscuotendo già successo nella rete.

Altra pezzo degno di menzione si ascolta in “Millevolte” un basso e una chitarra che dialogano al tavolino di un bar sorseggiando un tonico estivo.

“Dio funky” è un duetto riuscito con il principe della black music in Italia: Bobby Soul, mentre altra canzone preziosa “L’arte necessaria” ci racconta che chi non fa nulla mai sbaglierà.

Un album ben condito direi, dove l’esperienza dei musicisti è marcata in ogni singola nota e dove la splendida presenza sonora viene ripetutamente sottolineata da incursioni corali dal taglio ritmato e scandito in beat sonori precisi.

Un gruppo da inseguire sul loro funKamper in attesa della stagione buona.

Intervista a Umberto Maria Giardini

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Questa è tra le prime interviste dopo un anno di recensioni e volevo subito partire con una domanda che riguarda il titolo del tuo nuovo album che mi ha sempre incuriosito perché il nome “La dieta dell’imperatrice”?

Il titolo che ho dato al nuovo album e’ nato da un esigenza legata al concetto di simbolismo, cosi’ come viene concepito nella mia testa; volevo qualcosa che apparisse introverso nel suono e immaginario nel significato. La dieta dell’imperatrice e’ risultato il piu’ appropriato, poiche’ nella mia visione personale della musica italiana, la dieta e’ la condizione nella quale la piu’ nobile delle arti e’ costretta a vivere, per colpa degli addetti ai lavori che non riconoscono il reale valore oggettivo del materiale che ogni anno viene prodotto nel nostro mercato. Se i giornalisti addetti ai lavori scomparissero , la musica italiana ne guadagnerebbe tantissimo.

 La formazione rispetto alla precedente è cambiata profondamente perché questa scelta?

I miei nuovo collaboratori rappresentano piu’ che mai il nuovo volto di UMG. Il progetto Moltheni non poteva in alcun modo confondersi col nuovo ciclo e qst’ultimo nasceva con proprie caratteristiche estremamente diverse da Moltheni. Da qui la scelta necessaria di cambiare approccio e quindi anche band rispetto agli anni precedenti. Non a caso abbiamo eliminato il basso, e’ stata una sfida, combattuta e vinta.

Qual’ è stato il momento in cui hai capito che bisognava fare qualcosa di diverso, una trasformazione alla luce del sole?

L’ho capito quando ho ricominciato a scrivere e quando Anna Calvi pur non conoscendomi mi disse: “ogni cambiamento porta un nuovo modo di vedere le cose…quando si cambia, si vede meglio”. Da li’ fino a capire cio’ che dovevo fare e’ passato un arco di tempo brevissimo.

Raccontaci del nuovo progetto – video finanziato con il crowd funding su musicraiser.

C’e’ poco da raccontare. Avevo bisogno di soldi, esiste una nuova piattaforma, l’ho utilizzata..ho realizato il nuovo promo. Stop.  🙂

 Se dovessi scegliere che strada prenderesti: più sale di incisioni a prezzi popolari in Italia o più Talent show e derivati?

Nell’una nell’altra, provo schifo per tutto cio’ circonda la musica italiana. Dall’approccio dei musicisti (categoria di poveretti), alla realizzazione dei progetti, dalla promozione, ai live nonche’ al metodo di lavoro legato alle etichette e loro gestione.

 Ultima domanda: i 5 dischi a cui non rinunceresti.

Qualsiasi opera di Wagner..del rock, del pop e della vostra musica indie non me ne puo’ fregar di meno.

Nicola Battisti – Nicola Battisti (Cabezon Records)

Nicola Battisti è un cacover-Battisti-600x600ntautore atipico.

Atipico non come cantautore, ma come cantante di un’epoca a cui i paragoni stanno stetti.

La sua opera è racchiusa in 12 canzoni che mirano al riappropriarsi minuto per minuto di quella melodica canzone italiana che da anni ormai, se non con qualche rara eccezione vedi Non voglio che Clara, sembra abbandonata verso lidi nascosti perché accusata di essere mielosa e soprattutto retorica.

E invece no! Nicola grazie a dei testi semplici e una voce calda e coinvolgente al battere del piede ci fa scoprire che il belcanto deve essere riscoperto anche per concorrere in modo efficace al padroneggiare di talent show dove tutto risulta ridicolo e manovrato.

Nato sotto la stella protettrice di un cognome importante, il veronese per l’occasione si lascia andare verso territori conosciuti reinterpretandone forma e gusto estetico.

Ecco allora che l’album risulta orecchiabile quanto basta per riuscire ad apprendere testi diretti senza che risultino banalizzati dal saliscendi di note e chitarre sovrapposte da strumenti rigorosamente vintage come Rhodes, Mellotron, Wurlitzer e Hammond.

Canzoni come “Formula d’amore” o “Dove sei?” racchiudono lo spirito dell’intero disco: scanzonato e ritmato, semplice quanto basta per gridare al miracolo, perché di questi tempi ascoltare buona musica pop d’autore, senza scadere nell’ovvia ovvietà, risulta impresa impossibile.

A Nicola il merito di aver riportato in auge uno stile e un gusto retrò dimenticato da tempo nell’attesa che qualche artista sanremese navigato lasci il posto a veri cantautori.

http://www.nicolabattisti.com/

Penelope sulla luna – Superhumans (I Dischi del minollo)

Questa recensione arriva minollodopo 6 mesi dall’uscita di “Superhumans”, ma di certo non può non stupire l’ascolto di questi 8 brani che sono la prosecuzione di un percorso iniziato dai Penelope sulla luna ancora 7 anni fa; toccando picchi di cieli stellati e andirivieni cosmici che non possono lasciare indifferente chi li ascolta anche solo per la prima volta.

Il terzo album in studio dopo il fortunato “Enjoy the little things” possiede intrinseca la colonna sonora del quotidiano condita in salsa post rock da uno strumentale distorto: colonna portante di un film dalle ambiziose aspirazioni.

I 5 emozionano e lo sanno fare egregiamente, perché nella loro musica nulla è affidato al caso e ogni nota è associata ad un ritorno progressivo alle origini di Mars Volta, Mogwai e Don Caballero che penetrando in profondità regalano fiori recisi di uno splendore unico da riporre su di un tavolo per la propria amata.

Pezzi adrenalici come “Superhuman” ricordano il Corgan di Machina che intrattiene ad un party i QOTSA, i passaggi poi tra le varie canzoni sono colpi al cuore dove la tastiera fraseggia in intro eleganti come in “Feathers cry in pillow wars”.

“Rainbow club” con melodie chitarristiche ascendenti sembra essere la canzone più solare del disco mentre “Vendetta” è sussurro gridato e quasi incomprensibile ai più che si dilata fino a scoppiare come mine in defrag.

“Goblin” conta i passi che la portano a “That’s not how the story endes” per un finale delicato che non vuole essere condotto/ricondotto al capolinea.

Bella prova davvero, un concentrato di melodia rumorosa da veri intenditori che affiancando un suono a tratti meditativo ricostruisce con minuziosa precisione i secondi che ci separano dall’esistere.

Portoflamingo – Lamoresiste (Mojito edizioni musicali)

I Portoflamingo amano divertirsi perché ascoltarli è come essere distesi al sole di un’estate che tarda ad arrivare godendo però di quell’unico e impercettibile senso di abbandono che solo chi riesce a rilassarsi completamenp007_1_00te può comprendere.

6 giovani accarezzati dal vento, goliardici, irriverenti e astuti quanto basta per assomigliare alla versione mediterranea dei Gogol Bordello con un piglio di sfrontata allegria e  impegno sociale che li contraddistingue a livello nazionale sia nella scelta testuale che in quella musicale paragonabile solo a Bandabardò e co.

I toscani meravigliano per spunti che risultano immediati e interessano per arrangiamenti talvolta elettrici che fanno da sottofondo a una voce cadenzata che ricorda in alcuni passaggi quella di Enrico Greppi alias Erriquez.

Tra arpeggi e canzoni più orecchiabili si passa facilmente dall’inno “Mi basta pensare” alla sostenuta “L’amore esiste” toccando alti vertici di sconfinato genere in “Devo sparire” mentre ritmi più reggae/rap sono scalzanti in “Elezioni”, “Ninnananna” ricorda Claudio Lolli mentre la conclusiva “Mana Rota” è sperimentale poesia di espressione popolare.

Un disco che ti fa alzare il piede in qualsiasi momento e che riesce ad entrare come luce in Agosto tra le persiane, facendo dimenticare malinconia e turbe di qualsiasi tipo prima ancora che il pensiero di un inverno lontano faccia capolino.