3FINGERSGUITAR – ROUGH BRASS (Marsiglia Records/DreaminGorilla Records)

Dopo l’esordio di “#1” il batterista dei scomparsi Viclarsen, Simone Perna, ci regala questo album dalle atmosfere surreali e bucoliche dal titolo emblematico “Rough Brass”.

La sperimentazione la502-1-g fa da padrone, chitarre acustiche, loop e sovra incisioni sono le parole d’ordine per comprendere questo progetto solista dai vertici elevati che si differenziano da una stesura ritmica originale e anticonvenzionale.

Il suono è un misto tra il cantautorato inglese anni 70, toccando margini di efficacia in fraseggi  anni ’90.

Si accostano Nick Drake al Delta blues, Genesis a Buckley e James Blake nell’approccio,  un cantato da cigno maledetto in attesa di saper credere nelle proprie possibilità per riuscire a spiccare il volo.

Ecco allora che in “Spies” la voce si fa roca e ascendente, mentre “Polka dot shirt” è psichedelia allo stato puro, “Waiting for / Sister Midnight” è ballata blues dalle tinte oscure mentre “Mirror of stars” evoca sonorità vicine alla fine del XX° secolo preannunciando la perla del disco “Lying down in your perfection”.

Un disco anomalo lo possiamo definire dove la ricerca è tesa all’inascoltato.

Un abbraccio a territori noti per ricreare un mondo totalmente nuovo e quasi spiazzante, ma che regala spunti degni di essere sottolineati, un incontro tra un batterista e un chitarrista, un incontro allo specchio di un uomo senza una meta, ma con un’unica certezza quella di andare avanti.

 

Il link per scaricare l’album completamente gratuito

http://www.mediafire.com/?8k47uk71y0zd0z4

Il fratello – Il fratello (I dischi del minollo)

Una saracinesca sbarrata, scura, dalle tonalità dimenticate, 2 bambini camminano sopra  un marciapiede: sorella e fratello uniti, quest’ultimo sembra essere accecato da qualcosa, da una luce e decide di seguirla incurante di dove può portare.

Al ritorno il fratello non c’è più la bambina sembra non accorgersene; dove è finito per tutti questi anni?.

Inizia così l’avventuphpThumb_generated_thumbnailjpgra di Andrea Romano, siciliano, classe 1977 che assieme a Paolo Mei, Peppe Sindona, Francesco Cantone e Toti Valente forma alla fine degli anni 90 i Matildamay.

Poi l’avventura finisce, si sgretola, ma i rapporti rimangono e con questo disco nuove collaborazioni si presentano all’orizzonte.

Per l’occasione “Il fratello” ospita Mauro Ermanno Giovanardi, Lorenzo Urcillo (Colapesce), Giovanni Caruso, Valerio Vittoria, Angelo Orlando Meloni, Tazio Iacobacci, Carlo Barbagallo e Cesare Basile.

Un collettivo nel collettivo, amici soprattutto,  che grazie all’ispirazione inesauribile di Andrea Romano catapultano il suono a formare 8 tracce di delicata introspezione dove a parlare sono gli anni passati a rincorrere errori e gesti buoni da chiudere in un cassetto e riscoprire quando la stagione regala nuove idee e aspirazioni.

Velata amarezza nei testi, quasi aria mattutina invernale, un cuore malinconico dunque, ma aperto ad ogni forma di empatia con il mondo circostante; l’accostamento con la forma canzone e gli arrangiamenti dopo, risulta alquanto puntualizzato da sottofondi riverberati e voce soffusa, tende che si tendono in un abbraccio infinito.

Così Andrea parla del rumore di Lei, del rumore della luna o dell’assenza in “Vai via”, più dolce “Cos’ha che il mio mondo non ha” con Colapesce mentre la verità si fa auto determinazione in “E’ vero che per te” chiudendo con la meraviglia autobiografica “Nei ricordi di mio padre”.

Andrea con questo disco dipinge un mondo fatto di dissolvenze e profondità segnando la strada ad un nuovo cantautorato “nordico” figurativo dove ombre si stagliano nelle coscienze di chi ascolta, creando, grazie a rara capacità personale, quel pensiero di rimettersi in gioco sempre e comunque.

The Doormen – Black Clouds (The Orchard)

Un lavoro importante contornato da matrice bulimica di suoni british senza scadere nella retorica qualunquista cittadina e creando spazi di riflessione post floydiana di sicura classe e impatto sonoro.

I giovani Doormen ravennati e ablack-clouds-the-doormenttivi dal 2009, dopo un ep autoprodotto e esaurito in poco tempo nel 2011 danno vita all’omonimo primo full length prodotto da Paolo Mauri (Afterhours, La Crus … ) che permette alla band di condividere i palchi con artisti del calibro di Ash e The Vasellines.

Il periodo di grazia si protrae tutt’oggi, Aprile 2013, con l’uscita del nuovo miracolo di casa-circuito Audioglobe, un lavoro quasi maniacale che punta molto non solo sulla qualità estetica, ma soprattutto su di una qualità pratica e stilistica di ampie vedute internazionali.

Le influenze stagionali sono rielaborate in chiave ludico – malinconico ed ecco quindi che troviamo Editors e Audioslave, con punte subsonichiane nei ritmi sincopati del battere e levare della batteria: precisa samurai di casa Emilia.

Un piccolo gioiello ricoperto di sole e d’avorio che vede nel singolo “My wrong world” un incontro tra sonorità fine 80 e ritornelli claustrofobici a segnare inizi di una fine impossibile.

La dimensione del loro suonare prende forma in pezzi chiave come “Father’s Feelings” e “We are the Doormen” perché se l’incipit strizza l’occhio oltremanica il resto è vanità stilistica che i 4 riescono a esaltare al meglio grazie anche alla voce di Vincenzo Baruzzi che ricorda un malato Ian Curtis in pezzi lisergici come “Staring at the Ceiling” e “Silent Suicide”.

“Nuvole nere” potrebbe essere la colonna sonora di un tempo, il nostro tempo, che privo di colonne portanti emana capacità e pathos che conglobano il pensiero in un unico mondo possibile dove tristezza è sinonimo di perfezione.

The Hollyhocks – Pop culture (TDMC Records)

Cover accattivante e simbolica che lascia dietro di sé tutti gli anni 80 ripresi però con puntiglioso savoir faire e mistica energia dai 4 torinesi “The Hollyhocks”.

Conosciuti in rete, dal 20pop-culture-the-hollyhocks09 fanno della rielaborazione new wave la loro nuova strada e il loro punto di svolta.

Una commistione di romanticismo decadente abbracciato da chitarre pazze e velocissime coronate da spunti vivi e roboanti, non catalogabili per genere e fascia d’utenza.

Tutta la musica è uguale e nessuna musica è uguale potrei dire, si perché la giovane band etichettata dai più come seguace troppo diretta di un filone ormai scomparso, a mio avviso proprio in questa prova affila gli artigli per arrivare alla meta.

Canzoni accattivanti dai ritornelli orecchiabili, parti di sintetizzatori molto calibrate e sinceramente un mood che suona superiore alla media di gran parte dei gruppi di genere.

C’è del nostalgico nella voce di Mattia Pafundi, quell’insostenibile voglia di creare nell’incompleta assurdità della vita.

Una capacità degna di nota è la spensieratezza e l’istintività di tutti e 9 i brani che in meno di mezz’ora fanno battere il ritmo e perdere la testa.

Già il singolo “Drowning Boulevard”  ne è l’esempio fino alla bellissima “Ocean” che chiude un degno esordio.

Non è da tutti comporre musica e ancora più difficile è far ballare, rimanendo indipendenti, con la propria musica, questo però è il caso dei torinesi “The Hollyhocks” che miscelano un suono esplosivo con la leggerezza della giovinezza.

Corrado Meraviglia – L’occasione (La fame dischi)

Quando si dice avere “L’occasione” e utilizzarla al meglio.

Quando si vuole racchiudercorrado-meraviglia-loccasionee un mondo in un piccolo disco dal grande contenuto morale e addobbato da un packaging che fa gridare alla Meraviglia, frutto della collaborazione con lo studio Cikaslab di Riccardo Zulato dei  Menrovescio.

Quando si parla di rapporti d’amore, di rapporti sociali, di vita al limite e riprese considerevoli, idee che sembrano di tutti, quasi banali, ma che nelle corde di Corrado vengono sprigionate in maniera quasi perfetta.

Lontano dal disco precedente, il cantautore ci fa scoprire una forma canzone più compatta creando un appeal di gusto  sopra la media utilizzando una sensibilità tale da rimanere stupiti anche solo al primo ascolto.

In genere sono rari i momenti di catarsi in cui i musicisti riescono a mettersi a nudo  con poco più di 10 canzoni, riuscendo a creare con l’ascoltatore un tutt’uno di potenza e poesia; eh si perché di questo stiamo parlando, in poco più di mezz’ora ci sono chitarre malate, distorte che chiedono aiuto, quasi perdonando un male comune che porta al tracollo una società in bilico su di un dirupo, ci sono pianoforti elettrificati che suonano su mari quieti e carichi di nostalgia, ci sono chitarre acustiche a creare tappeti sonori mai scontati e ci sono voci che si fanno ricordare senza bisogno di chiedere altro.

Non servono paragoni perché “L’occasione” è un disco inclassificabile nel classificabile.

Se ai più sembra di sentire qualcosa di già sentito, io personalmente invito a un attento riascolto sottolineando le partenze agghiaccianti di “L’occasione” sussurrate parole ricche di immagini o le ironiche ballate “Vacanza” o la potente “La bella stagione” che con amarezza canta “Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso male” e come possiamo dimenticarci di “Sam” dal sapore Trickyiniano come del resto delle sussurate “Luccica” e “Trasparente”.

Corrado regala all’Italia un album che deve essere ascoltato.

Un disco non per tutti o meglio un disco per chi vuole cambiare qualcosa.

 

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